di AMERICO MARCONI –
Una domenica di sole, a inizio settembre, decidiamo di raggiungere l’eremo di San Giorgio a Rosara. Ad Ascoli Piceno si sale al convento dell’Annunziata e proseguendo verso Rosara, prima di arrivare al paese facendo attenzione alle indicazioni, si prende a sinistra. Dopo circa un chilometro parcheggiamo a lato della strada, sotto due grandi querce. Dei cartelli indicano che in un quarto d’ora di cammino raggiungeremo l’eremo di San Gorgio. Il tratturo scende tra querce, aceri e noccioli, quando risale appare la costruzione. In un primo momento c’è delusione per i muri, le scale, i tetti in gran parte crollati. Con i rovi che hanno bloccato ogni varco. Ma alcuni particolari come le scritte a matita del 1937, i resti di un affresco in ciò che rimane della chiesa, certi sportelli che si aprono su cardini arrugginiti dai secoli, stimolano un racconto lungo 700 anni. Stampato in una tabella appena fuori.
Nei primi decenni del XIV secolo la nobildonna ascolana Livia Martelleschi vi fondò un Ospedale per curare i lebbrosi con le acque sulfuree che scorrono in basso. Nel 1382 i Frati Spirituali seguaci di Angelo Clareno trasformano l’Ospedale in Eremo. Dedicandolo a San Giorgio, il Santo a cavallo che uccide il drago, protettore della lebbra e della peste, festeggiato il 23 di aprile. Nel 1568 passa ai frati Minori Osservanti. Con l’Unità d’Italia c’è la soppressione dei vari Ordini religiosi e diventa proprietà privata. Intorno al 1889 Padre Sante Scaramucci, che era stato guardiano del soppresso convento degli Osservanti all’Annunziata, acquistò l’eremo e se ne prese cura. Ma quando morì nel 1907 di nuovo ogni bene tornò in mano privata. E venne usato come magazzino.
I proprietari da tre, in un secolo, diventano 40. E ai tentativi delle amministrazioni di acquistare e ristrutturare l’eremo, destinandolo ad usi pubblici, è impossibile rintracciarli. Quando ci si riesce qualcuno non è d’accordo su qualche particolare. Sta di fatto che il risultato è sotto gli occhi di tutti. Abbandono e pericolosità di ciò che rimane della struttura che pure ha passato secoli di splendore. Per capirne la grandezza e la collocazione è meglio individuarla da Castel Trosino. Al di là del fiume Castellano, in mezzo al fitto bosco, sotto la roccia rosa che caratterizza il monte di Rosara. E intuiamo che aveva un grande portico affacciato verso sud, vari piani nei diversi corpi. La natura, che mal sopporta l’arroganza prima e l’incuria poi dell’uomo, rigogliosa e inesorabile sta demolendo l’opera e riprendendosi ogni spazio.
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