Dal classico a Sapri, libertà e legittimazione dell’espressione artistica

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Tra meriti e demeriti, di certo va annoverato tra i primi l’aver destato attenzione e concitazione di giudizi, così frettolosamente espressi. Ora che il clamore è sopito, prendiamo spunto dalla scultura dedicata alla spigolatrice di Sapri per spingerci oltre, verso un argomento più vasto: l’orizzonte espressivo dell’artista e l’attinenza della sua opera. La prima considerazione da fare, in generale, è che un’opera va valutata in sé per sé, da un punto di vista di critica oggettiva, mantenendo un distacco non pregiudiziale. Solo questo ci potrà dare gli strumenti interpretativi per argomentare, se è il caso, sull’attinenza verso il soggetto rappresentato. Prima di soffermarci, brevemente, sulla scultura di Sapri, volgiamo lo sguardo al passato remoto, per scoprire che dall’arte classica a quella rinascimentale, risalendo fino alla modernità, passando per l’impressionismo, ci sono molti esempi di esposizione del corpo che sembrano dei nonsense, inappropriati e apparentemente irrispettosi della donna.

Prendiamo “Le dejeuner sur l’herbe” di Manet. La scena è quella di un normale pic-nic al parco, con tre persone sedute sul prato: due uomini che stanno dialogando e una donna. Sarebbe tutto semplice se non fosse che la donna è totalmente nuda, all’aperto, tra due uomini totalmente vestiti. Al tempo si levarono giudizi polemici, tacciando Manet come persona volgare che dipingeva un’indecenza! Giudizi poi rivalutati: Manet è indiscutibilmente uno dei grandi maestri dell’impressionismo e quel dipinto è un capolavoro assoluto dal valore inestimabile. Di certo, oggi non parleremmo di indecenza, ma di “allegoria”, non parleremmo di offesa alle donne, piuttosto cercheremmo la chiave di lettura, cercheremmo di capire quel che l’artista volesse rappresentare, apprezzando quel volto sereno con gli occhi di chi è sicura di sé, apparendo “vestita” seppure nuda, come se non fossero gli abiti a doverle dare la dignità ma la sua stessa personalità.

La scultura posta sul lungomare di Sapri, come è noto, è un omaggio alla “Spigolatrice di Sapri”, la celebre poesia del marchigiano di Ripatransone, Luigi Mercantini, dedicata alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane, rivoluzionario e patriota di Napoli che aveva l’obiettivo di una rivolta antiborbonica. La storia insegna che la spedizione fu un bagno di sangue e che non raggiunse lo scopo. Mercantini, nel suo bel componimento, immagina una giovane e fiera spigolatrice nella campagna di Sapri che, testimone dello sbarco, ne segue le azioni successive, restando particolarmente attratta da Pisacane. Insomma, non semplicemente una innocente spettatrice, ma coraggiosa ragazza che a suo modo prende parte all’impresa, parteggiando. Quindi, un carattere deciso, fiero, determinato. Caratteristiche, queste, da ricordare.

La scultura, che è in bronzo ed è stata realizzata da Emanuele Stifano, artista di Salerno, va vista nella sua interezza, e da ogni profilo. Stifano non ha puntato sulla drammaticità, né sulle umili condizioni delle contadine dell’800, bensì si è concentrato sulla fierezza di una donna che abbandona tutto per seguire un ideale. Ed eccola, in piedi, decisa, una mano sul cuore, mentre guarda di lato con il mento sollevato e lo sguardo che rivela tutta la sua fermezza. La lunga veste è mossa dal vento. La brezza marina sospinge il tessuto che aderisce al corpo, posteriormente. Tecnicamente è ineccepibile. L’effetto, restando nella visione tecnico-realizzativa, è notevole anche perché l’abito, che visto frontalmente è rigoroso, scoprendo in parte le spalle, da tergo appare con un certo effetto trasparenza, rivelando le forme della giovane. Se ci soffermassimo sulla scultura nel suo insieme, vedendola frontalmente, noteremmo la fierezza posturale, l’emancipazione di un risveglio di coscienza, ma se eliminiamo tutto e ci concentriamo – letteralmente – sul “posteriore” ecco che si levano scudi di scandalo, in quanto offensivo verso le donne. Ma è davvero così?

Eugéne Delacroix dipinse una combattente a torso nudo tra gli insorti e morti in battaglia per rappresentare “La libertà che guida il popolo” nella Rivoluzione Francese. La “Libertà”, nel dipinto, ha un seno prosperoso che oggi non scandalizza nessuno. Allora qualcuno si scandalizzò, ma non per il seno nudo tra bandiera, armi e morti, ma per la peluria delle ascelle! Una gran bell’opera, ma se ci dovessimo soffermare solo sull’appropriatezza della nudità di donna per parlare di rivoluzione e libertà, ci troveremmo spiazzati e qualcuno potrebbe vederci l’uso strumentale. Sorvolando sulla scultura di Sapri – che ci è “servita” come pretesto per un argomento più ampio ed ognuno abbia l’opinione che vuole – resta il concetto che l’arte (quando è arte) non è fatta per compiacere, ha in sé il genoma della contraddizione, dello sguardo su “altro”, vuole essere a suo modo rivoluzionaria e impertinente. A volte ci riesce, a volte meno, a volte è magnifica, in altri casi deludente, ma non dovremmo mai avere fretta nell’esprimere un giudizio. Rischieremmo di doverlo “rivedere” a distanza di tempo.

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