Il fascino e l’importanza del cammino contemplativo

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Nella rubrica “Vuoti e Pieni” abbiamo ospitato altri articoli sul cammino, in particolare quello praticato con la tecnica del Nordic Walking, elogiando i benefici fisici e anche psichici. Abbiamo parlato di percorsi, boschi, sentieri, il piacere del camminare in gruppo e il senso dell’amicizia. Abbiamo elogiato i panorami, i tramonti, i giochi di luce tra gli alberi o i riflessi sul mare. Abbiamo parlato di molte cose. Oggi aggiungiamo un nuovo tassello, più intimo. Parliamo di cammino contemplativo, di quell’incedere, passo dietro passo, tra gli elementi della Natura, nelle sue essenze e nei significati più profondi e spirituali.  Già Ippocrate diceva: «Camminare è la migliore medicina per l’uomo». Nell’antichità, la medicina e la salute venivano riferite all’Essere nella sua totalità, anche spirituale, perché nulla, che è in noi, è davvero separabile. Siamo “uno” con infinite sfaccettature che necessitano di armonia. Il cammino, e in sé il camminare, ci offre una magnifica occasione se ne comprendiamo la forza, la bellezza, la vitalità. Camminare non è soltanto mettere in moto le nostre architetture ossee e muscolari, è innanzitutto il rapportarsi a ciò che abbiamo intorno, interagendo con i sensi e l’emozione, percependo nuove sensazioni ed intuizioni.

Diceva Tiziano Terzani: «Il senso della ricerca sta nel cammino fatto e non nella meta; il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare».  “Il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare”. Questa frase, che equivale al parlare del “Qui ed ora”, ci dice tutto. Chi fa la camminata contemplativa questo lo sa bene. Quando senti che il tuo passo è sulla sabbia, o sulla terra, sai che sei un tutt’uno con qualcosa di ancestrale e per certi aspetti di eterno. Forse non ci abbiamo pensato mai, ma “lo sappiamo”. La sabbia, ad esempio, derivante principalmente dall’erosione delle rocce, appartiene a qualcosa che c’è da sempre e sempre ci sarà. Su di essa hanno camminato nei secoli intere generazioni di uomini e donne, e bambini con i loro giochi e i loro desideri.  E così, fin tanto che esisterà la vita sul pianeta, su quella sabbia – la stessa nostra spiaggia – cammineranno altri bambini, altre generazioni che vivranno con altre tecnologie, ma la sabbia resta lì, nella sua essenzialità semplice, a ricordarci che i nostri pensieri e le espressioni emotive hanno bisogno di rapportarsi ad essa.

Così, come continueranno i cicli della luce e delle stagioni a colorare l’acqua del mare trasformandola in un acquarello che muta e si arricchisce di nuovi disegni e nuove sfumature, regalandoci immagini che possiamo vedere solo se interagiamo con i nostri sensi, oltre che con lo sguardo. Non vedremmo nulla se restassimo concentrati solo sulla tecnica o su un obiettivo, non potremmo vedere nulla se ci interessasse solo la competizione o una performance che pure hanno i loro significati, ma c’è un tempo per tutte le cose. E ora, mentre camminiamo nella natura, è il tempo della contemplazione. È il tempo di stare con sé, profondamente. Diceva Marcel Proust: «Non si riceve la saggezza, bisogna scoprirla da sé, dopo un percorso che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché essa è una visuale sulle cose». Ricordiamocelo quando camminiamo. La “visuale sulle cose” riguarda anche l’impronta che lasciamo, l’aria che respiriamo, lo sguardo che porta la nostra attenzione – e il nostro mondo interiore – fin dentro quel riflesso di luce, quell’onda che allunga l’acqua sulla battigia. Buon cammino!

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