di FABRIZIO CAPRIOTTI* –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Martedì 9 novembre con la pubblicazione delle sentenze nn.17 e 18, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rimarcando l’eccezionale capacità attrattiva del patrimonio costiero nazionale, ha affermato che la perdurante assenza (nonostante i ripetuti annunci di un intervento legislativo di riforma, mai però attuato) di un’organica disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime genera una situazione di grave contrarietà con le regole a tutela della concorrenza imposte dal diritto dell’Ue, perché consente proroghe automatiche e generalizzate delle attuali concessioni (l’ultima, peraltro, della durata , sino al 31 dicembre 2033), così impedendo a chiunque voglia entrare nel settore di farlo. Pertanto, le attuali Concessioni potranno continuare fino al 31.12.2023.
Secondo il Consiglio di Stato – si legge in un comunicato – il confronto concorrenziale, oltre a essere imposto dal diritto Ue, «è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita».
Il tema legato alla discussa “direttiva Bolkestein”, sembrerebbe così avere un suo epilogo, immaginate cosa stia adesso passando per la testa ai proprietari delle 114 concessioni balneari della nostra città, insistenti su circa 4000 mt lineari, di cui circa 1000 mt occupati dalle spiagge libere, ed una consistenza media per concessione di circa 25 mt lineari di spiaggia.
La principale caratteristica delle concessioni balneari sambenedettesi è quindi quella di avere piccole occupazioni, gestite nella maggior parte dei casi con una conduzione familiare, che si tramanda di generazione in generazione e che caratterizza l’accoglienza turistica balneare della nostra città da oltre 70 anni. Una tradizione tutta “nostra”, molto “marchigiana del sud”, fatta di piccole attività laboriose, fatta di cultura, fatta di sacrificio, che andrebbe completamente distrutta, vanificando soprattutto le scelte di vita fatte dai piccoli imprenditori. Certamente ci sono degli aspetti legati alla quantificazione del canone demaniale, alla gestione dell’arenile, alla sicurezza, che devono essere migliorati…ma come è possibile annullare tutto il patrimonio economico, storico, di tradizione della nostra realtà turistica in nome di una “concorrenza che ti migliora la qualità della vita?”.
Secondo il Consiglio di Stato questa scelta aiuterebbe a migliorare i servizi pubblici? La gestione del patrimonio nazionale e costiero? E tutti questi benefici si realizzerebbero eliminando le piccole concessioni a favore dei grandi gruppi di investimento magari internazionali? Credo che il dovere di un Amministratore sia quello di tutelare chi lavora nel proprio territorio, nel rispetto delle regole siano esse locali, nazionali e comunitarie, ma soprattutto nel rispetto della dignità delle persone, sostenendo i nostri operatori, le nostre tradizioni e la nostra economia.
*Fabrizio Capriotti – Capogruppo Consiliare Centro Civico Popolare
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