di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Se in una escursione paesaggistica, vi trovate davanti ad un albero maestoso sempreverde e ne restate affascinati, oltre il normale stupore, è possibile che si tratti di un ginepro fenicio (chiamato anche ginepro rosso). Pur non essendo gigantesco, può raggiungere misure ragguardevoli, tipo una dozzina di metri per altezza, avvicinandosi al metro come diametro. Soprattutto, ha una longevità notevole che dona alla sua fitta ramificazione un fascino unico. Chi è stato in Sardegna, in particolare nell’area nord, versante occidentale, non può non aver notato dei bellissimi microboschi a ginepro (e solo lì possiamo godere di una simile presenza). Ma forse lo spettacolo maggiore, almeno è così per chi scrive, viene offerto dai ginepri solitari sulla sabbia, come certi esemplari in Cala d’Arena, ieratici ed eleganti, dalle forme fluttuate dai forti venti che rendono l’albero ancora più dignitoso con delle architetture irripetibili: ogni pianta diventa una via di comunicazione emotiva. E poi, ci sono quelli che emergono dalle rocce, che sembrano fuggire dall’ambiente ostile alzando al cielo i loro tronchi pregiati e i fitti rami dalle foglie squamiformi. Difficile non restarne attratti, come fossero miti viventi, trasposizione in natura di saggezza junghiana. Nel fermarsi in contemplazione, qualche pensiero viene, qualche riflessione intensa scaturisce spontanea. È la magia di questi arbusti di lunga storia e straordinaria capacità di adattamento. Crescono in pianura come in montagna, fino a 1800 metri.
Ma perché l’albero si chiama “fenicio”? Verrebbe spontaneo supporre che derivi dall’antico popolo che in Sardegna ha lasciato molte tracce della propria presenza. Ma i Fenici, tra gli infiniti meriti, non hanno quello di aver dato nome alla pianta. Molto più semplicemente, il termine prende denominazione dal colore rosso delle bacche. Nella nostra società organizzata, anche preindustriale, il legno del “juneprus phoenicia” è sempre stato apprezzato, fin dall’antichità. È molto compatto, estremamente duro, quasi imputrescibile, perfetto per l’utilizzo ebanistico. Con il legno del ginepro, oltretutto gradevolmente profumato, ci si può fare di tutto: dalle travi alle botti, dai pergolati ai bastoni da passeggio, dalle piattaforme delle barche ai lavori da intarsio, dalla cassapanca alle seggiole. Sono solo pochi esempi, l’elenco non ha quasi fine. Non solo il tronco, anche i rami, in particolare quelli più freschi, ancora giovani, sono apprezzati per alcuni impieghi.
Chi produce l’acquavite conosce bene la qualità aromatizzante dei rametti, mentre le resine sono ottime sostitute dell’incenso nel tipico utilizzo nelle funzioni religiose. Anche il legno può essere distillato, per ricavarne un olio dalle proprietà medicamentose. E vogliamo ignorare il gineprino? Se capita di andare in Valle d’Aosta, sarà facilissimo degustare il liquore al ginepro, un tipico distillato ottenuto con le bacche ma anche piccoli rametti, oltre all’alcool ed altri ingredienti come da tipiche ricette locali.
Ci piace tornare alle suggestioni d’inizio articolo. D’accordo aver parlato degli utilizzi dei suoi legni e le sue bacche, ma vorremmo soffermarci sulle immagini esemplari, su quelle chiome che a volte, in paesaggi ostili fortemente ventosi, si inchinano fino a terra, assumendo forme insolite eppure armoniose, che infondono tenerezza e che “insegnano”, ricordandoci le antiche saggezze, come in certe fiabe. Ci suggeriscono i grandi camini delle case coloniche di un tempo, dove intere generazioni si sedevano per l’unico momento di piacere del giorno, a raccontare storie, spesso fantasticate, ma che portano in seno le immancabili armonie d’un sapere tramandato di vita in vita per interi secoli. Quegli stessi secoli di un ciclo di vita del ginepro fenicio.
Copyright©2021 Il Graffio, riproduzione riservata