di REDAZIONE –
Iniziamo l’anno in bellezza con una fiaba inedita che il celebre scrittore e filosofo cuprense Antonio De Signoribus ci ha concesso di pubblicare quale augurio ai nostri lettori per il 2022. La fiaba proposta, pur narrando avvenimenti di pura finzione che accadono in un modo fantastico (culmine massimo è il prodigio), comunica, tuttavia, un senso alle esperienze fondamentali della vita. Non interpreta la realtà, ma dà fiducia nell’affrontarla: presenta un mondo in cui ogni elemento è valutato in modo positivo o negativo; in cui le prove sono superate, i compiti difficili assolti, le sciagure rimosse, i desideri appagati. Eccola. Buona lettura!
IL SOGNATORE
di Antonio De Signoribus
«C’era una volta un giovane, che non aveva nessuna voglia di fare la fine dei suoi amici, ovvero trovare un lavoro qualsiasi, sposarsi e condurre una vita mediocre, tra stenti e sofferenze. Giovanni, invece, così si chiamava il giovane, era un sognatore, sempre con la testa tra nuvole, a inseguire i suoi pensieri e i suoi sogni. Decise, allora, di affrontare la vita in cerca di avventure e di grandi emozioni, ma anche con lo scopo di una vita migliore. I genitori le avevano provate tutte pur di non farlo andare via. Ma è come se avessero parlato a un muro. Così, senza battere ciglio, abbandonò la casa dove era nato. Cammina cammina, dopo alcuni giorni, incontrò una vecchietta, che gli disse: “Dove vai bel giovane?”.
E Giovanni: “Vado in cerca di avventure, e di una vita migliore, sperando che i miei sogni si avverino”. “Intanto che vai, puoi vedere che ho nella testa, che mi pizzica tanto e non faccio altro che grattarmi?”. “Certo, nonnina, che ci vedo”. Giovanni vide che era piena di pulci. Con un soffio energico le fece cadere tutte per terra, poi, disse alla nonnina: “Non hai niente nonnina, c’era solo un po’ di polvere, ma ora è tutto a posto”. La vecchietta gli rispose: “Tu sei un bravo giovane e hai il cuore buono, per questo voglio donarti una piccola spada che apparteneva a mio nonno; è una spada fatata e appena dirai: “Spada, aiutami!” la spada diventerà grande e affilatissima, ed eseguirà ogni tua richiesta d’aiuto”. Giovanni ringraziò la vecchietta, per il bel dono, e si rimise in cammino. Cammina cammina incontrò un vecchietto, che gli chiese: “Dove vai bel giovane?”. E Giovanni: “Vado in cerca di avventure e di una vita migliore, sperando che i miei sogni si avverino”. “Intanto che vai, puoi aiutarmi ad arare questo campo? Sono troppo vecchio per farlo”. “Certo che te lo aro, nonnino”. E Giovanni, in quattro e quattr’otto, gli arò tutto il campo.
“Tu sei un bravo giovane e hai il cuore buono, per questo voglio donarti il mio cane, che è molto intelligente, astuto e sensibile; trattalo bene e vedrai che ti sarà di grande aiuto per le tue avventure”. Il giovane ringraziò il vecchietto, per il bel dono, e si rimise in cammino. Cammina cammina incontrò un’altra vecchietta che era seduta sopra un cesto pieno di cose; appena lo vide la vecchietta gli disse:”Dove vai bel giovane?”. E Giovanni: “Vado in cerca di avventure e di una vita migliore, sperando che i miei sogni si avverino”. “Intanto che vai, puoi aiutarmi a portare questo cesto troppo pesante per me fino all’inizio del bosco, dove si trova la mia casetta?”.
“Certo che te lo porto, nonnina cara, che ci vuole”. Giovanni prese il cesto, se lo mise in testa, e senza alcuna fatica, lo portò a casa della vecchietta. “Tu sei un bravo giovane e hai il cuore buono, per questo ti voglio regalare un topolino ammaestrato che ti potrà essere di grande aiuto per le tue avventure”. Giovanni ringraziò la vecchietta per il bel dono, e si rimise in cammino. Cammina cammina arrivò in una città in guerra, o meglio in una città che era stata invasa da uomini terribili dalle facce strane, che uccidevano le persone senza pietà e bruciavano le loro case. Quando vide che anche il castello stava per essere distrutto, si ricordò della spada fatata e appena disse: “Spada, aiutami!” la spada si allungò e diventò una grande spada, affilatissima. Con quella Giovanni affrontò il nemico. Vi dico solo che le teste volavano in aria come palloncini data la potenza di quella spada; in poco tempo, Giovanni, sbaragliò il nemico e liberò la città e il castello dagli esseri malvagi.
Tutti gli abitanti gli corsero incontro, lo abbracciarono, lo portarono in trionfo, compreso il re, che era anche disposto a dargli la figlia più bella in sposa, pur di farlo rimanere. Ma Giovanni non accettò e disse che doveva proseguire il cammino. Cammina cammina giunse in una città listata a lutto. Chiese al proprietario di una locanda, dove si era fermato per mangiare e riposare un po’, che cosa stesse succedendo, e il proprietario gli rispose: “Ogni anno sette giganti chiedono sette persone da sacrificare. Domani, appunto, scadendo l’anno, si debbono presentare sette persone, estratte a sorte, tra cui anche l’unica figlia del re. Se così non fosse i giganti scenderebbero in città e farebbero molti più morti e razzie. Puoi immaginarti come possiamo sentirci? E come possa sentirsi il re?”. “E di questo ti preoccupi?” rispose Giovanni. “Domani salgo sulla montagna dove si trovano i giganti e li accoppo”.
“Ma non farmi ridere; nessuno è riuscito a fare niente contro quei mostri, come puoi riuscirci tu con un cane e un topolino?”. “Domani vedrai”. “A proposito a che ora si debbono presentare quelle sette persone per il sacrificio?”. “Alle sette in punto, in quella collina che si vede anche da qua, poi, dopo averle mangiate, i giganti se ne ritornano in montagna”. Alle sei, Giovanni era già salito sulla collina ad attendere le sette persone destinate al sacrificio. Appena arrivarono, tutte vestite di nero e con le lacrime agli occhi, compresa la bellissima figlia del re, disse loro: “Non preoccupatevi, ci penso io a risolvere, una volta per sempre, questa triste storia che si ripete, ormai, da tanti anni”.
“Eccome?” dissero. E Giovanni:”Aspettate e vedrete”. Appena arrivarono i sette giganti si misero a ridere nel vedere Giovanni con un cane e un topolino. “E voi? Che ci fate da queste parti? Che intenzioni avete? Comunque, buon per noi: avremo anche uno stuzzichino prima del pasto principale”. A quelle parole il topolino, senza perdere tempo, salì sulla testa dei giganti per infastidirli, magari distrarli, o innervosirli. Mentre il topolino eseguiva con successo il suo compito, Giovanni sfoderò la spada che, nelle sue mani, divenne micidiale. Con un poderoso fendente, infatti, fece cadere la prima testa; poi, con un altro, la seconda, poi, con un altro ancora la terza, e via via tutte le altre, fino alla settima. C’era, però, un inconveniente, appena le teste cadevano per terra ritornavano, con una velocità incredibile, sul collo mozzato dei giganti. A quel punto, entrò in azione il cane.
Sentite come. Dopo aver sferrato altri sette micidiali fendenti che fecero rotolare per terra, per la seconda volta, le teste dei giganti, il cane, veloce come una saetta, le prese con la bocca, e le buttò nel fiume che passava da quelle parti. Ma non finì lì, perché Giovanni, con altri incredibili colpi, spaccò in due parti i giganti, facendo diventare la collina da verde che era, rossa di sangue. Non vi dico la gioia delle sette persone che ebbero la vita salva. La figlia del re corse da Giovanni lo abbracciò, lo baciò, poi gli disse: “Tu sei il mio eroe e il mio salvatore, voglio subito sposarti e vivere con te per sempre”. “È un grande onore per me averti come sposa, ma non posso accettare, perché debbo proseguire il cammino che non si è ancora concluso; così mi dice il cuore; però, rimarrò tutto il tempo dei festeggiamenti, che il re ha voluto, per essersi liberato per sempre dal male che affliggeva la città”.
I festeggiamenti durarono un mese, tra balli, banchetti, giochi, fuochi d’artificio e altri divertimenti. Ogni tanto il re si avvicinava a ringraziare Giovanni per la grande impresa portata a termine, ma anche per invogliarlo a sposare sua figlia, che lo amava pazzamente. Ma non ci fu verso. Alla fine dei festeggiamenti Giovanni, il cane e il topolino, si rimisero in cammino. Cammina cammina arrivarono in un’altra città. In ogni angolo c’era un manifesto dove si diceva che l’unica figlia del re era gravemente malata e che nessun medico era stato capace di ridarle la salute. Se qualcuno ci fosse riuscito sarebbe stato ampiamente ripagato dal re. C’erano medici che venivano, addirittura, da città molto lontane, o da terre straniere, per tentare di guarire la principessa; ma ahimè, fallirono tutti, perché nessuno era riuscito a capire di quale male soffrisse davvero la bella principessa.
Anche Giovanni tentò l’impresa. Sentite un po’. Si vestì da medico, e si presentò al palazzo reale, spacciandosi come un famoso medico che guariva tutti i mali. Il re in persona lo accolse, e gli disse subito: “Se guarirai la mia dolce bambina te la darò come sposa, in più ti darò metà del regno. Va bene?”. “Io non guardo al tornaconto” rispose Giovanni “l’unica cosa che mi preme è guarire tua figlia; ti chiedo solo, per questo consulto, il permesso di poter introdurre nella camera della principessa i miei due più fidati collaboratori: il mio cane e il mio topolino; si sa, gli animali hanno più sensibilità degli uomini per intuire le malattie più strane e misteriose, e hanno anche il potere di guarire con la loro dolcezza”. Il re acconsentì subito alla strampalata proposta del medico; del resto cosa poteva fare, nelle condizioni in cui si trovava l’unica sua figlia, che amava più della sua stessa vita?
Entrarono. La principessa era distesa sul letto con gli occhi chiusi. Giovanni le parlò, ma non ci fu nessuna reazione, nessun movimento; sembrava davvero morta. Allora, Giovanni guardò il topolino come fosse un segnale; il topolino iniziò a camminarle, prima sulle braccia, visto che erano fuori dalle coperte, poi sul viso, tirandole su le palpebre con le zampette, o soffiandole negli occhi o nelle orecchie. Dopo qualche minuto, la principessa aprì, appena appena, gli occhi, ed emise un lamento, uno strano lamento. A quel lamento, Giovanni chiamò subito il re, che rimase, comunque, molto soddisfatto. Era il primo segno di vita dopo molti giorni d’attesa. Il re disse a Giovanni di ritornare ancora. Il giorno dopo, infatti, si ripresentò a corte con i suoi fedeli aiutanti. La principessa sembrava più tranquilla. Appena li sentì entrare, aprì gli occhi, e guardò attentamente Giovanni, il cane e il topolino. Il cane, allora, si avvicinò al capezzale della principessa, e iniziò a leccarla ripetutamente sul viso. La principessa questa volta non emise alcun lamento, anzi fece un sorriso, così dolce, ma così dolce, che tutti e tre rimasero a bocca aperta a goderselo.
Il re e la regina saltarono di gioia, dopo aver saputo e anche visto, che la principessa aveva sorriso ed era, finalmente, serena. Il re chiese a Giovanni di ritornare ancora, magari un’ultima volta. Il terzo giorno, la principessa volle tra le sue braccia sia il cane che il topolino. Dopo qualche ora di abbracci e carezze, la principessa parlò così: “Una terribile strega mi ha fatto una bruttissima fattura, che mi avrebbe uccisa se non fossero intervenuti, con il loro amore, un cane e un topolino, condotti al mio capezzale, da un giovane forte e coraggioso, dal cuore d’oro. Adesso sono guarita, grazie a voi”. Il re e la regina, che non stavano più con i piedi per terra dalla contentezza, si affacciarono al balcone del palazzo reale urlando queste parole:”Venite! Venite! Nostra figlia è salva! Nostra figlia è salva!”.
E in tanti andarono a farle visita, commossi; anche perché la principessa era molto amata dal suo popolo. Siccome ogni promessa è un debito, il re decise di dare a Giovanni sua figlia in sposa; questa volta Giovanni accettò subito anche perché sia lui che la principessa si erano innamorati pazzamente. Il viaggio di Giovanni, il sognatore, era giunto a destinazione. I suoi sogni si erano avverati tutti. Per le nozze si fecero giorni e giorni di feste che non vi dico, insieme al cane e al topolino. Anche i genitori di Giovanni furono chiamati a corte. Insomma, vissero tutti felici e contenti per il resto della loro vita.
Larga la foglia, stretta la via,
Dite la vostra che ho detto la mia».
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