Paolo Conte e l’onda lunga del suo jazz

Paolo Conte (foto da Wikipedia)

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Nella vita di ciascuno c’è sempre una data particolare, quella che rappresenta la demarcazione tra un prima e un dopo, complice una scelta da fare, forse difficile, ma che si rende necessaria per definire un presente che vuole diventare futuro. Nella vita di Paolo Conte, l’anno da ricordare è il 1974: sceglie di essere artista a tempo pieno, totalmente, pubblicando il primo album come cantautore, rinunciando alla professione forense fin lì portata avanti. Paolo Conte ha rappresentato, e rappresenta, l’originalità, la ricerca musicale intrisa di jazz, che resta una travolgente passione ma con un certo eclettismo culturale che lo porta a non standardizzarsi, rivelando una versatilità fuori dal comune. Ci vuole personalità e preparazione per rendere “leggere” canzoni dalla struttura rigorosa e appassionata. E ci vuole padronanza scenica per essere semplicemente se stessi, come lui, con il suo carattere mite e schivo, mai fuori le righe eppure decisamente fuori dal coro.

Ieri come oggi, che ha appena compiuto 85 anni, con oltre cinquant’anni di carriera e canzoni che hanno oltrepassato barriere culturali e musicali in Italia come all’estero (in particolare in Francia), interpretando una certa antropologia di provincia. In tutto 15 album propri e composizioni affidate ad altri.Dai tempi di “Azzurro”, portata al successo mondiale da un Celentano ispirato nell’interpretazione, a “Messico e nuvole” affidata a Enzo Jannacci, possiamo contare un’infinità di titoli e collaborazioni straordinarie.

Ma chi è Paolo Conte? Siamo abituati a vederlo seduto al piano, mente canta una delle sue composizioni con il caratteristico timbro, dalla voce roca. Una voce che non ha mai fretta, che sa imprimere il “mood” necessario, senza serpeggiare, che non cerca scorciatoie o effetti speciali. I testi giocano con la composizione musicale, con notevole carica ironica, prendendo sentieri che non t’aspetti. Conte lo ascolti rilassato, come ascolteresti rilassato il ricercatore che sa spiegarti con parole comprensibili concetti complessi. Rilassato, ma attento. Sai che quello che ascolti è sempre un’opera intellettualmente alta. Un’altezza per tutti coloro che vogliono raggiungerla, ma che non necessariamente è portavoce di uno specifico messaggio, che pertanto non va cercato a tutti i costi.

In alcune interviste, a chi gli chiedeva la chiave di lettura dei suoi testi, rispondeva con disarmante semplicità che il messaggio, se lo si intende come impegno politico nel sociale, come presa di posizione, semplicemente non c’è. A Conte interessa ritrarre certi spaccati di provincia, interessa l’antieroe del quotidiano, e lo fa con il disincanto, con emozioni distillate ed asciutte. Il suo pubblico lo sa e sa riconoscersi in quel disincanto raffinato. Sa apprezzare, e non solo in Italia. È molto amato in Francia, dove è praticamente di casa.
Tecnicamente, in ogni nuovo lavoro è la scrittura musicale che fa da battistrada. Solo quando ne è soddisfatto si dedica al testo. Insomma, è la musica la sua passione, è quel jazz – quello americano – dove si è immerso fin da ragazzo, imparando a suonare strumenti diversi. Erano tempi, quelli, dove un ragazzo di buona famiglia, se voleva sentirsi originale, e culturalmente rivoluzionario, comprava i dischi jazz (e lui ne ha una grande collezione, anche dei rari 78 giri).

Paolo Conte compositore, polistrumentista, cantautore. Paolo Conte pittore. E a vedere i suoi dipinti, sembra di godere di un ritmo musicale fatto di pennellate che sanno anche loro di jazz. Lo vedi dall’architettura del disegno che non vuole etichette, lo vedi dal colore rapido e vivace. Ha ricevuto la laurea honoris causa in pittura, da parte dell’Accademia di belle arti di Catanzaro. Paolo Conte ha un bel rapporto anche con la fumettistica. L’amico Hugo Pratt (autore di Corto Maltese) gli ha dedicato una raccolta di venti disegni, pubblicati nel volume “Le canzoni d Paolo Conte”, curato da Vincenzo Mollica. Non solo Pratt. Anche Altan, Crepax, Manara, Staino si sono ispirati ad alcune sue canzoni.

Paolo Conte non ha età, artisticamente parlando. È giovane sempre, restando fedele a se stesso, nel cardine di uno stile: quello di chi osserva e racconta, a modo suo, divertendosi nel farlo, con distaccata professionalità. Si può salire sul palco senza cercare piedistalli.
Ho un’immagine “sognata” di un Conte a fine concerto. Mentre i collaboratori iniziano a smontare, e il pubblico ormai è all’esterno, lui, ancora seduto al piano, con la sigaretta sul posacenere, si concede il piacere di assaporare quei momenti. Le note ancora viaggiano nella mente, vanno a cercare quel dettaglio che solo lui vede. Chiude gli occhi. Sta già componendo. Sta già dipingendo. Il jazz è una lunga onda sempre in cerca di una battigia dove poter incontrare nuovi e vecchi amici.

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