Drusilla Foer, impossibile non amarla. Quando il talento incontra la meritocrazia

di ROSITA SPINOZZI –

Arte, personalità, intelligenza, bellezza, ironia, talento. In altre parole Drusilla Foer. È stata lei la stella più luminosa della terza serata del Festival di Sanremo, la migliore co-conduttrice che sia mai salita sul prestigioso palco dell’Ariston portando con sé una felice brezza di speranza e rinnovamento, e rendendo godibile con la sua verve una serata un po’ troppo lunga in cui le canzoni da ascoltare erano venticinque con il rischio di un comprensibile abbiocco degli spettatori. Invece no, è arrivata lei: la più bella, classe e stile da vendere, battuta sempre pronta. Drusilla ha “sdoganato” la concezione di valletta, ci ha fatto dimenticare il clichè della co-conduttrice di turno asservita e sorridente. Drusilla si è presa la scena, magicamente e naturalmente, ha oscurato tutto il resto con il suo straordinario carisma. Non ricordo neanche più chi c’era nelle serate precedenti. Fosse per me l’avrei tenuta per tutta la durata del Festival, allora sì che Sanremo sarebbe diventato un appuntamento imperdibile.

Ha ragione Amadeus quando dice che non si può non amare Drusilla Foer. E ha ragione anche un emozionato  Michele Bravi “felice di vederla in un ruolo che rende onore alla meritocrazia”. Perché sì, con Drusilla ha vinto la meritocrazia. Che va ben oltre il concetto di prima co-conduttrice “en travesti”, che ha avuto anche il guizzo geniale di travestirsi da Zorro per “tranquillizzare chi pensava che sul palco ci fosse un uomo vestito en travesti”. Sicchè lei si è travestita veramente. Ma ha anche sfoggiato abiti di grande classe con il suo intercalare da nobildonna toscana, si è persino fatta sfilare un guanto da Amadeus e alla domanda: «Si deve spogliare completamente?» ha risposto serafica «No, non completamente. Riserverei delle grandi sorprese». E così è stato, anche se la vera sorpresa è stata quella di avere superato veramente se stessa in un contesto non facile.

Il palco di Sanremo è “pericoloso” per un artista, riserva tante incognite e non è un mistero il fatto che in un attimo si possono deludere le aspettive. Ho sempre ammirato e amato la grandezza di Gianluca Gori, e di conseguenza il suo alter ego Drusilla, pertanto ero certa che avremmo assistito ad una partecipazione in grado di lasciare il segno. E così è stato, anzi molto di più. Perché oltre alle battutine pungenti, tra cui il siparietto con la Zanicchi (“Quanto sei alta!”, “Più di te”, “Hai anche altre cose più di me”, “Sono colta”. Colpita e affondata l’Iva nazionale, tiè!), Drusilla ha incantato tutti con il suo monologo finale che, seppur in tarda serata, ha veramente “svegliato” – nell’accezione più ampia del termine – tutti. Per la bellezza e la veridicità dei suoi contenuti, per il concetto stesso che la parola “diversità” non è bella, e se dobbiamo trovare un sinonimo il migliore è “unicità” perché racchiude l’insieme di cose da cui è composta.

«Date un senso alla mia presenza qui e compite l’atto più rivoluzionario che ci possa essere: l’ascolto di se stessi, delle nostre unicità. Confrontiamoci gentilmente, facciamo sì che le convinzioni non siano convenzioni. Facciamo scorrere i pensieri in libertà, senza pregiudizio e senza vergogna. Facciamo scorrere i sentimenti con libertà e liberiamoci dalla prigionia dell’immobilità». Questo in sintesi il messaggio di Drusilla. Che, se ci pensiamo bene, è un po’ la chiave per raggiungere la felicità. Pertanto bisogna essere grati a Gianluca Gori – splendido attore, fotografo, pittore e regista fiorentino – per aver creato un alter ego meraviglioso come Drusilla che, tra l’altro, ricorda molto l’immenso Paolo Poli. Finalmente abbiamo visto sul palco dell’Ariston una professionista in grado di tenere la scena al punto tale che il termine “co-conduttrice”, nel suo caso, è veramente riduttivo. Drusilla merita di più, merita tutta la scena. E confesso che questa sera mi mancherà, moltissimo.

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