di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Un anno particolare il 1978, di quelli che, a riguardarli a distanza di mezzo secolo, ti accorgi che sono accadute cose importanti, e non poco. Cose che hanno delineato nuovi percorsi storici e passaggi fondamentali. Nel 1978, accade che un esponente del Partito Socialista Italiano viene eletto per la prima volta presidente, esattamente il settimo Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini. Da molti ricordato per essere stato meno formale, più vicino alla gente, con importanti trascorsi nell’antifascismo e con prese di posizione controcorrente. Qualche ombra – chi non ne ha? – ma molta creativa e illuminata padronanza della scena politica. Nello stesso anno assistiamo ad un altro evento da primato. Per la prima volta un polacco viene proclamato papa e, oltretutto, da considerare che da mezzo millennio i papi erano sempre solo italiani. Karol Wojtyla, con il nome di Giovanni Paolo II, porta avanti un pontificato d’impegno, anche politico, di viaggi diplomatici con immensi bagni di folla (più di cento), stabilendo un primato per il tempo. Memorabili le Giornate Mondiali della Gioventù, con ragazzi che arrivano da ogni parte del globo. Resta sulla scena per 26 anni (il terzo pontificato più lungo nella storia). Il crollo dei regimi del socialismo reale avviene nell’onda delle sue posizioni ed azioni. Anche qui non mancano i detrattori, ma molto di più sono gli estimatori e, di certo, Wojtyla nei libri di storia c’è e sempre ci sarà.
Ricordiamo il 1978 per almeno due eventi negativi, di grande peso sociale. È l’anno del rapimento di Aldo Moro, e relativa morte per uccisione da parte delle Brigate Rosse. Moro è l’esponente della Democrazia Cristiana che dà significato al “compromesso storico” di Enrico Berlinguer del Partico Comunista Italiano, ed è il promotore del riavvicinamento tra i due partiti che, da soli, raccolgono in quel periodo il consenso della stragrande maggioranza degli elettori. Moro guarda avanti, osserva i cambiamenti nella società. Cosa che non piace a chi teme l’apertura a Berlinguer. Statista di punta, Moro, diventato scomodo. Quando muore è il 9 maggio. L’altro evento negativo nel 1978 è la morte di Peppino Impastato, cresciuto in ambiente mafioso ma forte attivista nell’antimafia. È giovane Peppino, ha solo trent’anni, è giornalista e conduttore radiofonico, ancora poco conosciuto, a livello nazionale. È attivo in Democrazia Proletaria, si candida nelle elezioni comunali, senza mai stancarsi di denunciare gli affari, e i crimini, delle famiglie appartenenti al circuito mafioso. Ma non le vede le elezioni, il giovane Peppino. Qualcuno lo fa uccidere prima e con una messinscena da depistaggio che porta le indagini, e anche la stampa dell’epoca, su binari sbagliati, in un primo momento. Dicono cose strane, tipo che è morto nel tentativo di un attentato, prima, e di un suicido, dopo. Ma Impastato aveva voglia di vita e di giustizia.
Ecco, è su lui che ci soffermiamo qualche riga in più, su Peppino, molto impegnato e troppo attivo per essere lasciato libero di continuare a credere ad una società diversa, priva di crimini e “malaffare” mafiosi. Se fosse vivo, oggi avrebbe 74 anni. Andarsene a trenta fa male sempre, ma andarsene così, per mano omicida in una società che stenta ancora a capire i fenomeni in un mondo che sta cambiando in fretta, fa ancora più male. Ciò che rende la storia ancora più significativa è che lui, la mafia, la conosceva da dentro. C’era cresciuto in una certa cultura, l’aveva respirata. Sapeva bene cosa fosse Cosa Nostra. E lui che fa? Rompe i rapporti con le origini, va via, aderisce a movimenti di sinistra e antimafia. Tira su il giornale “L’idea socialista”, è dalla parte dei contadini nelle lotte sociali, scrive su “Il manifesto” e diventa persona attiva in Lotta Continua. Poi l’impegno si trasferisce nella cultura, dando vita al circuito “Musica e cultura” e alla radio con “Radio Aut, radio libera”. È da questa radio, dai suoi microfoni, che Peppino Impastato si pone maggiormente all’attenzione. La sua voce arriva, denuncia tutto quello che sa. La sua voce arriva, forse troppo per certe sensibili orecchie, di chi non vuole cambiare nulla, anzi! Il 7 maggio del 1978, Peppino fa il suo ultimo comizio con Democrazia Proletaria. Due giorni dopo viene assassinato. È il 9 maggio, stessa data di Aldo Moro: bizzarria del destino. Gli elettori gli tributano il successo di cui non potrà godere. Peppino Impastato, trentenne, ottiene quasi duecento preferenze, il candidato più votato. Il seggio del partito sarebbe stato suo. Storia di un italiano da non dimenticare.
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