di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Per pochi anni, dal 1939 al 1945, un centro cittadino siciliano si è chiamato Jonia. Solo sei anni, giusto in tempo per restare in qualche modo storico dando i natali a Franco Battiato, prima di scomparire definitivamente dalle carte geografiche. Curiosamente, se la città natia cambiava nome dopo pochi mesi dalla nascita dell’artista, che è avvenuta nel marzo del 1945, quella degli ultimi anni, dove il cantautore è vissuto fino all’ultimo giorno di vita, non c’era ancora: Milo, piccolo comune alle pendici dell’Etna, costituito nel 1955. I due comuni non hanno avuto neanche un giorno di compresenza geografica. Sembra un dettaglio da nulla, una mera curiosità da almanacco, ma ci piace pensare che non lo sia perché tutto influisce in ciò che siamo, quello che diventiamo. Quella sorta di mistero, sottilmente presente nel sottofondo di delicate sfumature e intense espressioni poetiche dell’autore siciliano, ben si accorda anche con certe stravaganze geografiche e con i capricci della storia.
Ma c’è un altro aspetto, decisamente significativo. Entrambi i comuni, pur non in contemporanea, sono catanesi. Quello di Catania – e Sicilia – è un punto fermo. Franco Battiato, pur cercando, ovunque nel mondo, nuovi percorsi espressivi, distillando da culture lontane, come da quelle vicine, l’elemento nuovo, la molecola creativa ed espressiva del suo mondo interiore, sempre più affinato e raffinato, originale e sensibile, solenne eppure brillante, resta profondamente siciliano e, nello specifico, catanese. Volendo tracciare una breve nota su Franco Battiato, senza cadere nell’ovvio e senza elencare i capolavori che tutti amiamo, dobbiamo tener conto di una frase pronunciata dall’amico produttore discografico Stefano Senardi: «Ognuno ha conosciuto un Battiato diverso, ma tutti hanno condiviso la bellezza della sua persona e della sua opera».
Ecco, ritengo sia una frase illuminante, oltre che bella, detta da chi lo ha frequentato, ammirato, stimato. Un Battiato diverso, dalle molteplici sfaccettature che non cercano omologazione, che raccontano l’apertura alla conoscenza, all’esplorazione e alla sperimentazione. Che lo accompagnano nei rivoli del grande fiume della spiritualità. Alquanto azzeccata anche un’altra definizione, quella di “arabo mitteleuropeo”. Così lo aveva soprannominato lo scrittore Paolo Scarnecchia che gli aveva dedicato un libro. Arabo mitteleuropeo, che sa vivere tra le due grandi – immense – culture, l’orientale e l’occidentale, senza porre limiti e barriere, senza stereotipi e schemi mentali. Scardinando, casomai, i dogmi, riportando in luce l’essenza, la sostanza intrinseca, il valore ultimo delle cose.
Battiato il maestro musicale. Battiato l’artista che sperimenta anche il cinema. Battiato pittore, ma anche barzellettiere. Asceta, cultore della meditazione, eppure amante della buona compagnia, della presenza umana. Non ci sono delimitazioni, e soprattutto occorre svincolarsi da un consueto di comodo. È stata questa la prima lezione appresa da Franco. All’inizio, molto giovane e con la grande voglia di provarci, segue la scia de “Un disco per l’estate” con un brano commerciale. Delusione, sua e del pubblico. Ma chi sa imparare dall’esperienza può essere grato al fallimento. Battiato comprende che la sua strada è un’altra, tutta da inventare. Comprende che il suo mondo musicale è fatto di avanguardia che, per restare tale, ha bisogno di esperimentare ed osare. Sul piano prettamente musicale, si lascia coinvolgere dall’elettronica e dal rock progressivo. Nei testi, un uso inedito di apparenti nonsense (in realtà il senso c’è sempre), intessuti di spiritualità, ricerca esistenziale e filosofica.
Il risultato è notevole, con atmosfere mai percepite prima, tra l’onirico e il surreale, nuove per l’Italia e che fanno di Franco Battiato un riferimento ben preciso, e non solo da noi. Da allora in poi, la cifra distintiva è una sola: non fossilizzarsi, non accontentarsi, cambiare senza paura perché ciò che conta è restare liberi, non farsi condizionare da mode e dal proprio stesso successo. Se ne è andato un anno fa, esattamente il 18 maggio del 2021. Ma possiamo dirlo? Possiamo dire che lui non c’è più? La musica resta presente, con quel suo tratto di immortalità, permanente nell’impermanenza della vita e delle cose. Del resto, lui stesso diceva che la morte non esiste, è solo trasformazione. Come non credergli?
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