di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
«Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio…E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti…». Chi scriveva così, nel 1611, è Artemisia Lomi Gentileschi, artista romana che meriterebbe di essere ricordata per la sua pittura caravaggesca, piuttosto che per la vicenda che le cambiò la vita, uno stupro aggressivo quanto inaspettato. Da un lato vorremmo rendere merito alla sua arte, che è di alto livello, ma non possiamo ignorare l’episodio perché mostra il carattere combattivo e non sottomesso di Artemisia. Così come mostra che, nonostante una distanza di secoli, non cambiano gli atteggiamenti delle persone nel “colorare” queste tristi situazioni come se la colpa fosse dell’aggredita.
Se dovessimo parlare di Agostino Tassi, abilissimo artista, amico e collega del padre della ragazza, dovremmo dire che, all’epoca, era bravo come pochi nelle decorazioni. Appassionato di pittura fiamminga e tedesca, esperto nel realizzare la prospettiva in trompe-l’œil, veniva chiamato per arricchire le decorazioni di palazzi importanti, compreso quello del Quirinale. Agostino frequentava la famiglia Gentileschi, collaborava con Orazio, padre di Artemisia e collaborava con la stessa pittrice. Insomma, potrebbe essere una gran bella storia di arte ed artisti impegnati e convinti se non fosse che proprio lui, Agostino, è colui che «Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto…».
Brutta storia, resa ancora più triste dalle bugie dell’aggressore – promise di sposarla, ma era già sposato – e più assurda dalle modalità del processo, dove la ragazza dovette fronteggiare prove che spaventerebbero chiunque. Doveva sottoporsi a estenuanti visite ginecologiche “pubbliche” con tanto di notaio e dato che il Tassi era riuscito ad avvalersi di false testimonianze sulle circostanza dello stupro, Artemisia doveva avvalorare la sua dichiarazione anche sotto tortura. Solo così i giudici l’avrebbero creduta. Per quanto assurdo possa apparire oggi, era “normale” allora. C’erano forme di tortura istituzionalizzate che avevano l’equivalenza di una macchina della verità.
Artemisia, pur consapevole che la difficile prova avrebbe potuto minare fisicamente la possibilità di continuare a dipingere, non si sottrasse. E vinse la causa. Agostino Tassi fu condannato ad una sanzione e ad allontanarsi da Roma (cosa che non fece, continuando le sue attività artistiche). Nonostante il giudizio a suo favore, Artemisia era compromessa nell’immagine pubblica. Le persone l’avevano ormai bollata come una sorta di ninfomane, costringendola a cambiare città per poter tornare ad una qualche normalità. E all’arte! A quel mondo che era il suo mondo, fatto di colori e pennelli, frequentazioni tra “pari”, progetti alti e visioni moderne.
La storia ci consola sulla sua scelta. A Firenze, infatti, le cose girano giuste. Era il tempo di Cosimo II de’ Medici e Artemisia era diventata amica di protagonisti di primo piano, come Galileo Galilei, e Michelangelo Buonarroti il Giovane che, pur non essendo famoso come lo era stato lo zio, era molto ben inserito negli ambienti che contavano dando alla Gentileschi la sua grande occasione, quella del riscatto artistico. Fu anche ammessa, prima donna nella storia, all’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze. Riconoscimento di grande prestigio.
La quiete non era nelle sue corde. Da Firenze tornò a Roma, ebbe anche un periodo veneziano, poi Napoli, Londra e infine Napoli fino alla sua morte la cui data non è certa. Ufficialmente nel 1653 ma ci sono elementi che fanno pensare a un paio d’anni dopo. Era nata a Roma l’8 luglio del 1593.
Da un punto di vista artistico si possono dire molte cose, non prescindendo dal fatto che Artemisia è vissuta in un periodo che la pittura che conta era solo maschile e le donne, in generale, potevano avere solo ruoli subalterni. Considerando questi aspetti di antropologia e la sua personale vicenda vien fuori il ritratto di una “combattente”, di una che non ha mai rinunciato alla sua visione e alle sue passioni. Tuttavia, pur avendo avuto sostanziale affermazione in vita, la sua immagine storica era piuttosto decaduta, sostanzialmente per ragioni sessiste, per essere riabilitata più recentemente, grazie allo storico d’arte Roberto Longhi che nel 1916 le riconosce un livello eccezionale. Osservando i suoi dipinti, non possiamo che dargli ragione.
Copyright©2022 Il Graffio, riproduzione riservata