di ROSITA SPINOZZI –
“Il mercato del vento” verrà presentato venerdì 15 luglio alle ore 19 presso lo chalet Vino Ammare (concessione 80) di San Benedetto del Tronto, e mercoledì 27 luglio alle ore 18.30 sotto le Logge di Piazza Peretti a Grottammare Alta –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Lo spettacolo di un continente osservato da un uomo che tiene strette le proprie radici ma, nello stesso tempo, riesce a metterne di nuove in un mondo lontano in cui porta accanto al proprio nome quello islamico di Abdourahim. Si potrebbe riassumere così, in estrema sintesi, “Il mercato del vento” (Galaad Edizioni), l’ultimo libro di Vincenzo Maria Oreggia che offre al lettore molteplici spunti di riflessione all’interno di eventi comici e drammatici, passioni e inganni, miracoli e rischiosi terremoti politici vissuti nel continente africano, dove nell’animo del protagonista fanno capolino anche i ricordi di una Milano rivisitata nei momenti salienti di tre decenni di storia. Eventi che fanno da sfondo ad una gioventù inquieta, vista con gli occhi di un esule che viaggia per il mondo ma abita soprattutto dentro sé stesso. Il tutto ripercorrendo le vicende di una famiglia che “precipita” dove non avrebbe mai immaginato.
Un libro molto bello in cui l’aspetto narrativo si unisce mirabilmente all’introspezione, dando al lettore un interessante visione di un’Africa vissuta a spasso per una metropoli, Dakar. Una “impresa” che riesce bene a Vincenzo Maria Oreggia non solo perché è un talentuoso scrittore – nato a Milano e residente a San Benedetto del Tronto – ma anche perché è un grande viaggiatore permeato da diverse culture che frequenta da un ventennio l’Africa occidentale, con base a Dakar. Narratore e poeta, Oreggia ha collaborato con importanti periodici, quotidiani nazionali e con storiche riviste di letteratura e teatro. Ha pubblicato i racconti Prossimi alla conclusione (1995), gli scritti di viaggio Bach tra gli elefanti (2005), i romanzi Pesce d’aprile a Conakry (2010) e Questa non è la mia patria (2013), gli incontri teatrali Archivio di voci (2014) e il libro di poesie La misura degli anni (2017). Ha inoltre realizzato i cortometraggi Dal basso (2009) e Il miracolo del pane (2014). Più che “lanciare messaggi”, con i suoi libri dice di accontentarsi di produrre qualche goccia di meraviglia nel lettore. A mio avviso ci è riuscito: scorrendo le pagine del suo ultimo libro è forte la sensazione di intraprendere al suo fianco un viaggio nei meandri di un mondo sconosciuto. Un mondo in cui accade il miracolo di recuperare il senso del tempo, immergendosi nell’hic et nunc, qui e ora.
“Il mercato del vento” verrà presentato venerdì 15 luglio alle ore 19 presso lo chalet Vino Ammare (concessione 80) di San Benedetto in collaborazione con la libreria Nave Cervo. A dialogare con l’autore sarà il giornalista Mario Di Vito, con letture a cura di Piergiorgio Cinì del Laboratorio Teatrale Re Nudo. Un altro incontro è in programma mercoledì 27 luglio alle ore 18.30 sotto le Logge di Piazza Peretti a Grottammare Alta, in collaborazione con l’Associazione Culturale Blow Up. Dialogherà con l’autore Marco Cruciani, antropologo e regista, con letture a cura di Vincenzo Pasquariello. L’ingresso è libero. Per saperne di più, abbiamo intervistato Vincenzo Maria Oreggia.
“Il mercato del vento”: cosa ha ispirato questo titolo e com’è nata l’idea di una storia che ti vede tornare alla narrativa dopo quattro anni di pausa?
In realtà sono più di quattro anni. Il mio libro precedente, La misura degli anni, risale infatti al 2017 ed era una raccolta poetica. Gli anni intercorsi dal precedente romanzo, Questa non è la mia patria, sempre pubblicato con Galaad Edizioni, sono nove. Ma la pratica della scrittura narrativa non si è mai arrestata. Il mercato del vento aveva raggiunto proporzioni molto più ampie delle attuali, e solo dopo una lunga serie di revisioni è giunto a una misura che supera di poco le duecento pagine. Oltre al lavoro di affinamento stilistico, interi capitoli sono stati scartati avendo di mira una maggiore compattezza. Il libro può considerarsi il seguito di Pesce d’aprile a Conakry, del 2013, dove iniziava quel movimento geografico e interiore tra Europa e Africa che contraddistingue anche questo lavoro. Quanto al titolo, verso la fine del romanzo il protagonista arriva in un mercato di Dakar, il Marché Ngalau, che in wolof, la lingua più diffusa in Senegal, significa il mercato del vento. Mi è parsa una buona metafora, capace di condensare molteplici significati, primo fra tutti quello dell’esperienza di un uomo di fronte allo spettacolo così meravigliosamente fragile e passeggero della vita.
Quanto è sottile il filo che lega l’autobiografia alla finzione narrativa?
Si tratta di un filo estremamente sottile ed estremamente tenace. La scrittura, se ha aspirazioni letterarie, non è mai un banale calco del vissuto. Lo stesso processo del ricordare è una ricostruzione immaginifica di quanto è successo nella vita cosiddetta reale. Ci sono corrispondenze, più o meno notevoli, tra narrazione e vissuto, anche in libri che appaiono a tutta prima distanti dalla vita dell’autore, ma è ciò che succede lungo quel filo che veramente conta. È lì che nasce il romanzo, nella rielaborazione linguistica, dove in un certo senso si inventa il passato. Benché ne Il mercato del vento lo spunto autografico risulti evidente, specie ai quei lettori che un poco mi conoscono, trovo la questione dei risvolti autobiografici piuttosto oziosa, un motivo di curiosità legittima ma che non ha molto a che fare con la riuscita dell’opera. Narrare di sé è creare il personaggio di se stessi. Il dilemma dell’identità è uno dei fulcri del libro, che narra eventi accaduti lungo un arco temporale di oltre trent’anni, oscillando continuamente tra epoche diverse. Il narratore si racconta a volte in prima e a volte in terza persona, sfogliando come una rosa le immagini di sé che via via si sono accumulate nel corso della sua esistenza fino a ritrovarsi nudo, in una condizione da cui contempla passato e presente quasi fossero frammenti di una pellicola filmica. Un percorso di disillusione che apre le porte a quell’avventura spirituale cui si accenna anche nel risvolto di copertina.
L’Africa è un continente in cui la povertà è diffusa, ma è anche una terra generosa di suggestioni. Qual è lo spettacolo che si pone dinanzi agli occhi di un uomo che osserva una realtà che ben conosce a distanza di tanti anni?
Trattandosi di un continente vastissimo e scarsamente frequentato dagli occidentali, bisogna fare molta attenzione a non incorrere in facili stereotipi riguardo all’Africa. Viviamo in un mondo che si professa globalizzato, anche se ad essere globalizzate sono soprattutto le immagini trasmesse dai media a discapito dell’esperienza diretta, un fatto che ci rende infarciti di opinioni e carenti di sapere. La domanda in merito a ciò che è per me lo spettacolo dell’Africa dopo vent’anni di frequentazione apre contesti tanto vasti che mi è impossibile condensare una risposta in poche battute. Ma se dovessi scavare in fondo alle mie sensazioni, direi che ci sono almeno due cose che un africano non ha perso e che qui in Occidente diventano sempre più rare: la capacità di godere pienamente del tempo, di immergersi senza riserve nel qui e ora, e il senso del soprannaturale. Un senso vivo, ancestrale, al di là di fedi o confessioni specifiche.
Qual è il messaggio che vorresti percepisse il lettore leggendo “Il mercato del vento”?
Non credo che la letteratura debba prefiggersi messaggi precisi. È piuttosto un modo di condividere esperienze attraverso una finzione. Mi accontenterei di riuscire a coinvolgere il lettore nelle storie che scrivo e di accompagnarlo in un mondo che forse non conosce. Produrre qualche goccia di meraviglia. Ecco, mi basterebbe questo. Cosa poi queste gocce significhino nella vita dei lettori, preferirei eventualmente ascoltarlo da loro.
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