Pier Paolo Pasolini, la lunga strada di un genio italiano

Pier Paolo Pasolini (foto fonte web)

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

È il 1959, la rivista “Il Successo” chiede a Pasolini un reportage sulle spiagge italiane. Lui accetta, non sappiamo se con convinzione, ma di certo, strada facendo, cresce l’entusiasmo e la motivazione. A bordo della sua FIAT 1100 – gran bella auto in quegli anni – percorre dapprima la costa occidentale, da Ventimiglia a Palmi, poi, presoci gusto, alla ricerca di amici ed occasioni, borghi semplici ed autentici, risale lungo l’Adriatico, fino a Trieste. Inevitabilmente, pur per poche ore, si ferma di passaggio anche a San Benedetto del Tronto. La rivista pubblica il reportage dell’intero viaggio in tre puntate. Successivamente viene pubblicato anche il libro “La lunga strada di sabbia”, a cura di Philippe Sécler. Nel libro ci sono esplosioni di stupore ed incanto, con frasi come “la gente è tutta fuori, ed è la più bella gente d’Italia…”.  È un Pasolini di 37 anni, in gran forma, ed è già un apprezzato intellettuale in Italia e in Europa, come scrittore e poeta, soprattutto. A breve lo sarà anche come regista e autore, attore e drammaturgo.

A Pier Paolo piace osservare, entra nell’anima delle cose, cerca sfumature di autenticità in tutto. È un’Italia in crescita, con la voglia di superare il  dopoguerra in gran fretta, con inevitabile modernizzazione e imborghesimento. Pasolini rintraccia i volti che non mutano, le espressioni senza tempo, le tradizioni che hanno un sapore arcaico. Persona complessa, poliedrica e ribelle, geniale e imprevedibile, nel corso della sua vita subisce 33 processi, dagli atti osceni alla strana accusa di tentativo di rapina. Spesso prosciolto, a volte condannato. Soprattutto ricordiamo l’intellettuale che non teme di essere se stesso, che esprime giudizi netti e in controtendenza e che sa essere sempre originale, profondo, elegante nell’espressione e nei modi. Personaggio anomalo e scomodo. Certamente unico. E bravo calciatore, inaspettatamente, fin da ragazzo, giocando anche sette ore di fila. Passione autentica, come la poesia e la letteratura – lo dice lui stesso – con lo sguardo sempre posato sugli angoli nascosti della vita.

Tra le sue pubblicazioni, oltre a “La lunga strada di sabbia”, ricordiamo il capolavoro “Ragazzi di vita”, dedicato al clima delle borgate romane di quel tempo e di un certa malavita adolescenziale;  il romanzo “Petrolio”, rimasto incompiuto e pubblicato postumo, che probabilmente lo rappresenta più di altri lavori editoriali; la raccolta di articoli “Scritti corsari”. Sono solo pochi esempi. Ci sono molte altre pubblicazioni, tra romanzi, raccolte di poesia, articoli e saggi. In cinematografia, la produzione è altrettanto importante e rappresentativa, con film non sempre facili, dall’estetica “pasoliniana”, complessi e enigmatici, duri e veri, con invenzioni scenografiche assolutamente inedite. Ricordiamo “Teorema”, vero e proprio viaggio nell’interiorità più buia, “Il Vangelo secondo Matteo”, “Accattone”, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”,  “Uccellacci e uccellini”. La censura in quel periodo storico è piuttosto rigida e bacchettona, lo attacca spesso e non a caso Pasolini realizza tre film che sembrano un vera e propria sfida alla morale semplificata di un certo perbenismo: “Il Decameron”, “I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle mille e una notte”. Come per i libri, l’elenco dei film, dai lungo ai cortometraggi, è decisamente più lungo.

Ci interessa ritornare a San Benedetto del Tronto perché, curiosamente, coincide anche con la fine di un ciclo. Abbiamo accennato al fugace passaggio del 1959. Forse in quell’occasione la cittadina rivierasca non lo sorprende emotivamente. Sul finire degli anni ’50 San Benedetto sta scoprendo appieno la propria vocazione balneare e turistica. È elegante, con i villini liberty, gli alberghi, le spiagge ben attrezzate, le donne modaiole e una borghesia crescente. È troppo per lui che ancora cerca borghi semplici e la gente che non sa di appartenere a quell’ultima generazione di una povertà dignitosa e decorosa.
Poi, l’ultima partita di calcio. È il 14 settembre del 1975. Siamo a San Benedetto del Tronto, allo Stadio Ballarin. La Nazionale Cantanti e Attori, di cui Pier Paolo Pasolini è parte e ne è stato il co-fondatore, sfida amichevolmente la formazione Vecchie Glorie Samb, con calciatori che erano stati i grandi giocatori del passato nella Sambenedettese. Per chi desiderasse approfondire, segnaliamo il docu-film di Giordano Viozzi, intitolato “L’ultima partita di Pasolini”.

La competizione calcistica sambenedettese ha una rilevanza simbolica essendo stato l’ultimo episodio sportivo. Da lì a breve Pier Paolo verrà ucciso a Roma il 2 novembre 1975, come la cronaca ha abbondantemente raccontato, con qualche dubbio ancora sospeso sulla dinamica e sulle ragioni. Sono passati 47 anni e lui, Pasolini, resta nel panorama italiano come uno degli intellettuali più lucidi, profetici, colti e “italiani” nonostante tutto, nonostante quel degrado culturale che lui, allora, aveva  visto e condannato. Fosse vivo, avrebbe 100 anni. Era nato nel 1922.

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Pier Paolo Pasolini (foto fonte web)