di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
«Una vita senza musica è triste, ma una musica senza vita è terribile».
Chi diceva questo era ed è Adriano Celentano, nato a Milano il 6 gennaio del 1938. Non proprio la Milano come la vediamo oggi. È cresciuto nella via Cristoforo Gluck del quartiere Greco, nella periferia milanese, praticamente nell’ultima casa prima dei campi, dei laghetti e dell’aria aperta. La via che aveva dato vita, come in una biografia musicale, alla celebre canzone “Il ragazzo della via Gluck”, vista anche come brano di protesta e rimpianto. Era il 1966, e già lamentava una urbanizzazione a ritmi serrati, tali da travolgere in pochi anni i luoghi dell’infanzia. La canzone è tra le più rappresentativa della carriera straordinaria di Celentano, quella che, più di altre, ha decretato il passaggio dal primo periodo, quello del Molleggiato “urlatore”, a quello più intimista e impegnato. Eppure, nel Festival di Sanremo del ‘66 l’esibizione non andò oltre la prima serata. Ironia della sorte, come spesso accade nell’arte come nella vita. Ma poi, nelle vendite, ci fu un successo incredibile e meritato, aiutando il cantautore a definire meglio la propria “mission”. È uno di quei casi di canzone con versioni straniere, dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Svezia alla Spagna. Forse la cover più famosa è quella che è stata interpretata da Françoise Hardy in Francia, con il titolo “La maison où j’ai grand”.
Ad oggi, sono stati pubblicati oltre quaranta album discografici. Tra i più venduti in assoluto è quello intitolato “Mina Celentano” del 1998, realizzato in studio con Mina e raggiungendo in pochi mesi il milione di copie acquistate. Senza soffermarmi sui titoli delle canzoni o su aspetti puramente biografici e didascalici, vorrei tracciare alcune linee di profilo. Mi viene in aiuto il film “Yuppi du”, forse l’unico – dal mio punto di vista – in cui Celentano abbia raggiunto un particolarissimo e interessante livello di creatività “sopra le righe”, con una visione e fantasia onirica davvero originali. Il film è surreale e alle volte grottesco, eppure intimo e fantasmagorico, rock e lento al contempo, logico e squinternato, con scene talvolta farneticanti e dialoghi volutamente sconnessi. Eppure, ne vien fuori un Celentano molto ispirato, capace di reggere il gioco come regista. La pellicola è del 1975. Certo, è un film molto diverso rispetto ad altri, che pur riconoscibili con il suo stile, forse potevano essere meglio elaborati.
“Yuppy du” è quello che racconta chi è Adriano, quello che lo dipinge. È il Celentano che mi piace, quello che osa, che traccia nuovi percorsi, li inventa senza temere stroncature e incomprensioni. È il Celentano che ha vinto, a modo suo, tra gli estremi di qualche inevitabile errore e molte vette incontrastate, tra innovazioni non sempre riuscite, ma che lo denotano, che lo rendono inimitabile, unico nel panorama musicale e artistico.
La sua casa, una villa articolata e “dinoccolata” come le sue gambe, è all’interno di un parco immenso nella Brianza, ben 12 ettari (12.000 metri quadri) che per percorrerli occorre quanto meno una bicicletta. Una bella rivincita rispetto alla rimpianta via Gluck.
L’inizio della canzone dice così:
“Questa è la storia
Di uno di noi
Anche lui nato per caso in via Gluck
In una casa, fuori città
Gente tranquilla, che lavorava
Là dove c’era l’erba ora c’è
Una città
E quella casa in mezzo al verde ormai
Dove sarà…”
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