Quella rarità che rende divi. Gina Lollobrigida nel ricordo di Mario Vespasiani

di MARIO VESPASIANI –
Quando incontrai per la prima volta Gina Lollobrigida più di venti anni fa, fu simpatia a prima vista, io nel riformulare nel mio immaginario tutte quelle sue innumerevoli interpretazioni, lei nell’aver scoperto un ragazzo così impavido e colorato quasi uscito dai propri dipinti. Eravamo ad una mostra, una delle mie prime esposizioni in trasferta e lei rimase incuriosita dalle opere quanto dal personaggio, al punto che nonostante gli ospiti ci fermammo a parlare a lungo di ben altro, della componente umana che rende unici. Faceva riferimento al mio stile, al fatto che lo trovasse aderente alle opere, quasi uscito dalle tele e più lo descriveva più il mio stupore aumentava, come se stesse guardando dentro di me, ma anche nel mio futuro. Dunque con una storia da diva del genere – dai sette David di Donatello al Golden Globe, dai due Nastri d’Argento alla stella sulla celebre passeggiata della Hollywood Walk of Fame, quale simbolo del cinema italiano nel mondo, tanto da essere diretta dai più celebri registi dellepoca – le chiesi il consiglio più ovvio: come fare a diventare una persona di valore.
 
Ripose nella maniera più semplice e spiazzante possibile: «Rimani quello che sto vedendo davanti a me, rifletti sempre la raffinatezza dei tuoi colori, nellaspetto esteriore e la profondità dei tuoi temi, nelle tue azioni. Non fare distinzioni tra il lavoro e la persona, ma calati nella parte che la vita ti chiama ad essere senza indossare maschere». Parlammo ancora per qualche minuto dei suoi film e quando mi chiese il preferito, non le dissi il titolo ma direttamente Fata turchina e lei, appoggiandomi la mano sul fianco – avrei dovuto pensarci, per via dei capelli lilla – non solo le risposi, ma perché hai incarnato nella mia fantasia la bellezza terrena che diventa eterea, celeste, come solo una mamma sa essere, quando pur a distanza e senza farsi notare ci guarda, guida e ci augura ogni bene. Una Madre-Madonna, qualità propria delle grandi donne, che vivono in noi e il nostro cuore, anche quando uomini, porta con sé quella loro femminilità.
 
Continuai con l’ennesima domanda che più o meno diceva questo: «Gina ma come faccio a rimanere impresso nel cuore di chi amo e di chi semplicemente apprezzo?». Mi disse, con gli occhi lucidi: «Vedi, nel mondo del cinema sono e saranno sempre più rari i divi rispetto ai bravi attori, perché sta venendo meno la signorilità, la stima reciproca, rispetto alle gelosie; il divo lo riconosci dalle maniere, non solo dal talento. Ricordati allora di essere un gentiluomo, non solo un maestro, distinguiti nelle piccole cose, nelle cortesie anche quando non sono dovute. Non guardare gli eventi o le cose, dallalto del livello che hai raggiunto, ma verso lalto, stagliate sul cielo dove ti appariranno più grandi e luminose e tu avrai il dono di raccontarle nei dipinti e di goderne come davanti ad una meraviglia».
 
Fino a quel momento avevo in mente una sua fotografia in compagnia di Salvador Dalì, ora il posto del genio catalano era occupato da me appena ventenne, con la stessa audacia di chi deve ancora dimostrare tutto, ma con la certezza di saperlo fare. In una posa sicura avevo lanciato il talento più lontano dello sguardo, dove è di casa solo la più fervida immaginazione. Ma era realtà e non più immaginazione.

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