di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
La prima sensazione, nell’apprendere la notizia della morte di Maurizio Costanzo, è stata di sorpresa incredula. Sì, c’è da ammetterlo: è, era, uno di quei personaggi che sembravano immortali, vuoi per aver connotato la televisore per svariati decenni come pochi, oltre il mezzo secolo, rivoluzionando la logica dei palinsesti e lo stile delle interviste, ma anche perché, pur a ottant’anni superati, era ancora lì, forse meno frequente e meno incisivo, ma c’era. E c’era mantenendo quel modo di fare e di essere tipicamente suo: gentile e garbato ma con quella amabilità che non nasconde la determinazione di scavare a fondo, facendo emergere, soprattutto nelle interviste dei suoi talk show, la personalità e la veridicità delle persone, giocando su interruzioni e allusioni, metodo di cui è stato maestro. Di lui il grande pubblico ricorda soprattutto Bontà loro e Maurizio Costanzo Show, due esempi longevi (soprattutto il secondo) di talk show dove Costanzo era diventato abilissimo a individuare nuovi volti e talenti televisivi.
Chi non ricorda un giovane e agguerrito Vittorio Sgarbi tra i suoi ospiti? Ma anche Valerio Mastandrea, Giobbe Covatta, Daniele Luttazzi, Enzo Iachetti, e moltissimi altri. Il salotto di Maurizio, presso il teatro Parioli di Roma, era diventato ben più che il salotto buono della televisione, era il luogo mediatico per eccellenza, influente e decisamente importante, e pertanto ambito. Diventavi qualcuno quando passavi per quelle seggiole. E se ci tornavi più d’una volta, era fatta. Era il segno di interesse verso un nuovo personaggio o una sua riconferma.
Costanzo non è stato solo abile giornalista e intrattenitore televisivo. Era, e aggiungo soprattutto, un autore. Suo il testo di Se telefonando, canzone scritta insieme a De Chiara e portata al successo da Mina, su musiche di Ennio Morricone. Sua l’idea di Fracchia, il personaggio poi messo a punto e impersonato da Paolo Villaggio. Suoi i copioni di diverse opere teatrali, sempre sul filo dell’ironia, come ad esempio Cielo, mio marito!, scritta insieme a Marchesi e interpretata da Ombretta Colli e Gino Bramieri. Ha collaborato come autore nella cinematografia. Ha dato la sua impronta in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Ma anche in alcuni film di Pupi Avati e con Ettore Scola aveva sceneggiato Una giornata particolare. È stato direttore di giornali e riviste, come La domenica del Corriere e L’occhio.
Basta sorvolare Wikipedia per rendersi conto della vastità delle collaborazioni in campo editoriale e giornalistico, televisivo e cinematografico, teatrale e musicale, senza dimenticare la radio. Per un periodo è stato anche docente universitario presso La Sapienza, a Roma. Quello della “comunicazione” è sempre stato il suo argomento preferito e all’università teneva lezioni nell’ambito della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Da non dimenticare, infine, il suo impegno civico che gli costà un attentato subito.
In sintesi, Maurizio Costanzo è stato uomo che si reiventava restando se stesso e le sue opinioni avevano un alto peso specifico, altamente influenti. Ci sono frasi che ben fanno capire la sua arguzia intellettiva.
Eccone alcune:
“In Italia non ci si deve mai dimettere da nulla. Ne sono pronti, sempre, altri sette.”
“Il pettegolezzo diverte solo noi giornalisti: ce la cantiamo e ce la suoniamo.”
“Una volta l’onestà era il minimo che si richiedesse ad un individuo. Oggi è un optional.”
Per quanto non tutto sia stato positivo, ovviamente, come nella vita di chiunque, ritengo che dobbiamo essergli grati per aver svegliato una televisione che era, mezzo secolo fa, ancora ingessata e stereotipata e per essere stato un ispiratore di stili di vita motivati dalla non sudditanza, privi cioè di un ossequio figlio di una cultura provinciale che, seppure ancora presente e forse inestirpabile, qualche tempo fa era maggiormente ramificata.
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