di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Una frase molto significativa di Paolo Crepet, tratta dalle sue conferenze, dice: «C’è una legge fondamentale nella vita: la legge della reciprocità… Altrimenti è come insegnare che nella vita tutto si può pretendere e nulla si deve dare». Ecco, mi sembra che dica molto, una frase così, su certi degradi e derive umane, sui comportamenti e sulle scelte, a tutti i livelli. Siamo cresciuti nel mito della competizione più che della cooperazione, nel bisogno di un’autostima che si può nutrire di tutto tranne che della fatica di crescere. Confondiamo dignità con orgoglio. Siamo abituati a credere che siamo padroni del nostro tempo e finiamo con l’abituarci a calpestare la “nostra” terra. E così, ricercando un altro piedistallo anziché una convergenza, si finisce con il calpestare, oltre al suolo, anche molti valori.
Cos’è il bullismo e lo stalkeraggio se non la dimostrazione, e l’esercizio, di una qualche forma di potere? Ecco, il potere, in tutte le sue varianti e sfaccettature. Talvolta sa essere anche gentile e suadente il potere. Non è forse nel suo nome che accadono molte cose? Nei rapporti di coppia il potere si veste di possesso, travisando la gelosia e istigando la frustrazione: trasforma gli amanti in aguzzini e talvolta in assassini. Nelle migliori delle ipotesi vengono spente speranze e fiducia. Il potere, qui inteso come riconoscimento e conferma di sé, mascherando fragilità e inadeguatezza, si nutre del bisogno spasmodico di consenso. Ed è così che in molti ambienti di lavoro il manager cerca l’approvazione e non il confronto, svilendo, di fatto, la creatività e la potenzialità degli altri. Ed accade nei gruppi di amici e in quelli sportivi. Accade nelle istituzioni come nelle scuole. Accade nei propri labirinti psichici. La reciprocità, alla fine, non è più neanche un’opzione e se ne smarrisce il significato amorevole.
Così ci si sente liberi di non rispettare, in una qualche misura. Liberi di abbandonare un cane, ad esempio. Liberi di uccidere l’orsa, come racconta la cronaca di questi giorni. Si formano gang di giovani che terrorizzano un quartiere, o che stuprano un’adolescente. Talvolta c’è il degrado sociale d’appartenenza ma questo fa parte dello scenario, non è la spiegazione. E molti di noi, magari colti, laureati, dalla vita gratificata, stimati e apprezzati, sono, per così dire, ecosostenibili nella forma ma non nella sostanza. La sostanza richiede un qualche sacrificio, richiede rinunce, scendere dai piedistalli facili e fini a loro stessi. La sostanza richiede attenzione, capacità di porsi di lato, se utile ad un bene superiore. La sostanza ha necessità di imparare dagli errori, non di nasconderli.
Ed è forse questo l’argomento chiave che dovrebbe essere affrontato nelle famiglie e nelle scuole: elaborare il comportamento, riconoscere gli errori, saper leggere il disagio altrui. Ricordando che la fatica di crescere è, appunto, una fatica nell’accezione più dignitosa: visione, elaborazione, scelta consapevole. Allora anche i sogni, le passioni che daranno senso all’esistere, avranno una marcia in più. Avranno la forza della realizzazione senza dover calpestare il cammino di qualcun altro. Anzi, di più: avranno una naturale capacità di illuminare, di essere d’esempio, uno stimolo, almeno fintanto resisteranno al richiamo di instabili palcoscenici.
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