di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Nel mondo dell’oggi, che ci appare moderno per il solo fatto che siamo contemporanei e con un livello tecnologico impensabile pochi decenni fa, stupisce che nel nulla delle telecomunicazioni e dell’elaborazione elettronica dei dati che si aveva dalla preistoria fino a quasi un secolo fa, ci siano state persone capaci di grandi imprese, quel tipo di impresa che apre gli occhi, che prepara a nuovi orizzonti cambiando i paradigmi di riferimento. Insomma, un salto antropologico e culturale. Se poi a compiere l’impresa è una donna, allora non è solo un passaggio culturale ma una sostanziale rivoluzione nei costumi e nel soverchiamento delle convenzioni. Se ancora oggi c’è un eco sottopelle del patriarcato, termine caduto in disuso e che i recenti fatti di cronaca hanno riportato alla luce, si pensi cosa poteva essere nei secoli scorsi, dove non erano riconosciuti quasi mai i diritti odierni, con un’alta percentuale di analfabetismo, nessun incidenza sociale e politica delle donne. In altri termini, la condizione femminile viveva in uno stato di sostanziale e silenziosa sottomissione. Nulla sarebbe cambiato, nei secoli, se non ci fossero state donne in grado di disobbedire alle convenzioni, osare l’inosabile in quella fase storica, andando avanti per una strada che riuscivano a vedere con una chiarezza sconosciuta agli altri.
Una di queste donne è stata Alexandra David-Néel, francese dalla lunga vita centenaria. Era nata nella Francia del 1868 e vi è morta nel 1969, nella fase più importante dell’industrializzazione europea. Oggi la ricordiamo per aver scritto ben trenta libri di viaggio, vere e proprie avventure al limite, e per aver scritto dei saggi sul buddhismo. Si tenga conto che è stata la prima donna occidentale ad arrivare a Lhasa, nel 1924, praticamente un secolo fa, quando vigeva ancora il divieto agli stranieri, impiegando otto mesi di marcia, attraversando il Tibet. Che donna era Alexandra? A leggere la sua biografia, viene fuori – inevitabilmente – il ritratto di una ribelle “dentro”, di una che non ha esitato, a soli diciotto anni, ad abbandonare il confort della casa paterna ed intraprendere un viaggio europeo. La prima meta, la Spagna, la raggiunge in bicicletta. La svolta è a Londra, nel primo contatto con la cultura e le filosofie orientali. Il primo tassello di un percorso che la vede viaggiatrice in India nel 1890 e ’91. Poi, in molte altre parti del mondo. L’Africa la “chiama”, si stabilisce a Tunisi ed approfondisce anche la conoscenza del Corano. E poi, in lungo e in largo per l’Europa, ancora l’Africa Settentrionale, l’Asia, e nel frattempo contrae anche matrimonio con l’ingegnere Philippe Néel (matrimonio che non ha lunga durata).
Nonostante tutto questo viaggiare, che di per sé sarebbe già motivo per considerare Alexandra David donna innovativa di grande intraprendenza e spregiudicatezza, c’è da ricordare che la sua grande passione è l’Orientalismo. Studia anche il sanscrito per poter leggere in lingua originale gli antichi scritti. Non è per semplice curiosità che viaggia, e va detto che ovviamente se lo può permettere da un punto di vista economico, ma per soddisfare una profondissima sete di conoscenza antropologica. Ed è sempre l’Oriente che le dà i maggiori stimoli, arrivando a diventare eremita per un paio di anni, vivendo in una caverna in una località tra le montagne dell’Himalaya. Impara la disciplina tibetana, pratica esercizi spirituali. Viaggia ancora, prima in Giappone e poi attraverso la Cina. Nel frattempo ci sono le due guerre mondiali e in ambo i casi, per una serie di circostanze, vive gli echi dei conflitti in territorio asiatico, prevalentemente in Cina. Quando ormai è anziana, sceglie la Provenza, il profumo della sua terra d’origine, per gli ultimi anni. Quando muore ha quasi 101 anni e lascia detto – cosa che verrà fatta – di disperdere le ceneri nel Gange.
Ho voluto raccontare, pur per frammenti, la storia di questa pioniera, esploratrice, scrittrice, cantante lirica (sì, anche questo) per comprendere un concetto semplice, ma non semplicistico: chi fa cose straordinarie non sa che sta sconvolgendo schemi e convenzioni. Semplicemente vive secondo una propria energia che non vuol rinnegare. È il “daimon” del saggista James Hillman, è il seguire la guida interiore, il non porsi comodi limiti. Il non adattarsi. Ed abbiamo tutti da imparare da simili esempi.
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