Dagli Appennini alle Alpi, da Montalto delle Marche a Borgo Valsugana

di PIER GIORGIO CAMAIONI (PGC) –

36° Festival degli Appennini (Canti della montagna, alpini e popolari),  Montalto delle Marche, Cattedrale Santa Maria Assunta,  18 maggio 2024 –

MONTALTO DELLE MARCHE – Quando di notte vaghi per Montalto alla ricerca di un parcheggio è come perdersi tra le colline qua intorno. Poi, mentre entri in Cattedrale per il concerto delle Corali, ti senti come al cospetto di una montagna. Bella, grossa e larga – sembra il Gran Sasso – non aguzza come lassù le Dolomiti. Ma c’è del Cuore, qua dentro: quello dei coristi delle corali. Quelle loro voci educate e difficili, sorprendenti e imprevedibili, profonde, proprio di cooperativa, di sindacato… quelle “facce da cinema, facce popolari” (Pasolini) che quasi non si trovano più – qui negli Appennini come nelle Alpi – o che se ne stanno da parte, riservate nelle loro vite di lavoro vero, metodico, intelligente, probabilmente del tutto manuale. Li guardo: li immagino artigiani, operai, agricoltori non di pianura, autisti di utilitarie, elettricisti (…l’intelligenza degli elettricisti – “Un gelato al limon”, Paolo Conte). In maggioranza adulti adulti, tutti maschi, ragazzi quasi zero. Divise che più sobrie non si può, ben oltre il francescanesimo. Niente tatuaggi e tagli di capelli arditi né scarpacce pitturazzate, anche se le scarp del tennis – ma quelle del Jannacci – non avrebbero stonato.

Cosa cantano è prevedibile, dopo 36 anni… Non m’intendo, ma secondo me c’è del nuovo, ci sono ancora studio e passione e sperimentazione, da parte dei maestri direttori, nell’amalgamare tante frequenze così diverse per ricavarne suoni d’orchestra che forse per la prima volta in questa cattedrale percorrono traiettorie inedite, si colorano di altri colori nei marmi degli altari e nei dipinti di santi, girano nei blu della cupola e tornano veloci giù tra noi dribblando file di colonne. Poca allegria, certo, son repertori che non perdonano. Ma si avverte più saggezza che malinconia, più rispetto che rassegnazione. Ed è musica corroborante, pur spesso cadenzata e marziale, non certo jazz. Non servono strumenti, queste voci li battono. In potenza, in ingegneria, in anima.

Amarcord… tanti decenni fa… nel gelo del Convitto di Assisi: quando in certe tristi “ricreazioni” i nostri compagni montanari (così li chiamavamo, noi del sud, quelli delle valli e delle montagne di Belluno, Trento, Vicenza…), le facce quadrate e pallide chiazzate di rosso-rosa ancora senza barba, si appartavano seri e sottovoce – ma di Cuore – intonavano (pressappoco ma anche bene) certi loro canti cupi e complicati che stasera ho riconosciuto e risentito con commozione lontana. Sarà che a quei tempi a scuola imperversava soprattutto Carducci…

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