Le danze popolari e i loro significati simbolici

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Se nominassi la “Lambeth Walk” molti, compreso chi scrive, direbbero di non capire bene di cosa si sta parlando. Per molti anni è stata una danza simbolo in Gran Bretagna, a partire dal 1937, anno in cui spopolò il musical “Me and My Girl”. Passi a ritmo vivace, in un periodo drammatico e difficile della storia anglosassone, in prossimità del secondo conflitto mondiale. Divenne popolare proprio perché catartica, nel bisogno di sfidare i tempi non perdendo vitalità ed allegria. Non era raro, anzi piuttosto frequente, vedere gruppi di ragazze che improvvisavano la danza per strada, coinvolgendo altre persone. Stessa cosa nei locali, come i pub o i luoghi comunitari. Dunque, il segreto probabilmente era ed è nella capacità di riunire, in quella come in altre danze popolari, esorcizzando un pericolo o una fase storica, proiettandosi in una dimensione “altra”, come una riscrittura, un nuovo copione del mondo come lo si vorrebbe vedere.

Parlando dell’Italia viene subito in mente la pizzica, sia quella salentina che quella lucana. La pizzica è forse la più famosa tra le tarantelle. Il termine “tarantella” prende origine e spunto da un ragno velenoso che, nel dialetto locale, soprattutto nella fascia tarantina, viene chiamato taranta. Tradizione vuole che chi temeva di essere stato morso dall’insetto dovesse muoversi il più concitato possibile per espellere il veleno per mezzo di copiose sudate. La danza, nel tempo, è diventata simbolo, occasione di feste rituali e, soprattutto, un modo per esprimere gioia, dinamismo, senso collettivo. In tempi moderni, non è raro che la pizzica venga insegnata per tutti quei risvolti che potremmo definire “esperenziali”, per cementare un team di lavoro, ad esempio. Di certo, le motivazioni creative ne beneficiano e l’umore ancor di più.

Le tarantelle sono un fenomeno soprattutto meridionale, con delle varianti, dalla Puglia alla Sicilia, passando per Basilicata, Campania e Calabria, ma ogni regione italiana ha i suoi canti e balli popolari, nati per una ragione e radicate nelle credenze dei popoli. Da noi in centro Italia, nelle Marche e in altre regioni, ci sono le varie versioni del saltarello. Oggi quasi semi scomparse. I fenomeni legati alla industrializzazione, come l’emigrazione inarrestabile a metà del secolo scorso verso altre aree metropolitane nel nord dell’Italia o in Europa, hanno di fatto svuotato molte tradizioni. Le origini sono millenarie, probabilmente c’è un aggancio al “saltatio”, danza dell’Antica Roma, proibita o comunque scoraggiata nei secoli successivi dalla Chiesa per i chiari riferimenti erotici. Difatti, anche il più moderno saltarello è un ballo di coppia che mima il corteggiamento. Così come per le varie tarantelle, anche il saltarello è plurale, ogni regione del centro Italia ha le sue espressioni.

La versione marchigiana, che storicamente ha goduto di una certa gloria, è una di quelle più vivaci e coinvolgenti. Le nostre nonne ben lo conoscevano. Non c’era sagra di paese, o cerimonia, matrimonio in primis, senza lo spazio dedicato a canto, ballipopolari e certi giochi. I più adulti ricorderanno la “morra” che, nella sua semplicità, coinvolgeva soprattutto gli uomini, contribuendo ad una cornice festaiola a tutto tondo. C’è da considerare a questo punto il valore intrinseco delle danze riconducibili a culture popolari, come un collante antropologico di visioni tradizionali, con le sue aspirazioni di libertà e diritto alla gioia e al benessere.

Nelle classi meno abbienti, il gesto di allentare la cravatta nell’uomo o il foulard nella donna, messi per la festa insieme all’abito della domenica – spesso veniva chiamato così l’abbigliamento che veniva indossato solo in determinate occasioni – aveva il doppio significato simbolico di livellare le disparità apparenti e quello di potersene distaccare cedendo alla sana follia di lasciarsi andare a danze sfrenate, raccogliendo un pubblico plaudente e incoraggiante. Altri tempi, verrebbe da dire. Ma forse no. Cambiano i contesti e le abitudini, ma certe necessità restano nel bisogno di ciascuno ed andrebbero espresse.

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