Vincenzo Di Bonaventura “Guardatore del Carmelo” e i Poeti russi della Rivoluzione

di SARA DI GIUSEPPE –

TeatrLaboratorium Aikot 27, VERFREMDUNGSEFFEKT TESTIMONIAL Rassegna di teatro poesia musica canto orchestra a cura di Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos.
“I poeti della Rivoluzione”  A.Blok, S.Esenin, V.Maijakovkij, B.Pasternak

Dedica al maestro Carmelo Bene “Quattro modi diversi di morire in versi”
Laboratorio teatrale Aoidos con Vincenzo Di Bonaventura attore solista – Alberto Archini alle percussioni.

Presentazione del libro di Vincenzo Di Bonaventura “Il guardatore del Carmelo” con Simone Camel, Ospitale delle Associazioni, Grottammare Alta, 16 e 17 novembre 2024  h21,30

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“Vi ho già risposto, Innokentij. (…) Majakovskij mi è sempre piaciuto. È come una continuazione di Dostoevskij (…). Come riesce a dire tutto, una volta per sempre, in modo implacabile e assolutamente coerente! E soprattutto, con che audacia e che slancio scaraventa le cose in faccia alla società e anche più lontano, nello spazio!”

(B. Pasternak, Dottor Živago, parte VI)

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GROTTAMMARE – A proposito di “spazio” – ma quello siderale – ecco che per cosmica analogia ti vengono in mente gli anelli di Saturno e la distanza fra loro e dal pianeta, quando osservi lo sparuto numero di spettatori – mediamente da 8 a 11  – che (dalle nostre parti, s’intende!) “affollano” i Recitals di Vincenzo Di Bonaventura dedicati, sempre, ai giganti della letteratura, della poesia, del pensiero, dall’antico ai nostri giorni. Come gli anelli di Saturno, la totalità del potenziale pubblico assente sembra infatti ruotare indifferente in orbite separate e distanti (almeno i 4.800 km della “divisione Cassini”) da quelle altissime voci di letteratura e poesia: voci che non hanno uguali fra cielo e terra, la cui potenza sismica ti rigira l’anima al contrario, e che Di Bonaventura porta in scena da una vita con “patologica” tenacia. Può darsi temano d’uscir d’orbita  e piombare in un girone d’Inferno anziché su un anello di Paradiso. Peccato per loro.

Domenica 17 novembre, la sala-magazzino dell’Ospitale coi suoi neon-macelleria (“teatro” si fa per dire), s’è appena desertificata del folto pubblico accorso nel pomeriggio ad ascoltare il bravo intellettuale (col libro appena uscito, va da sé).  Restano per Di Bonaventura gli 8 (otto) spettatori regolamentari: tutti gli altri – giornalisti, politici (parlando con decenza), intellettuali, giovani (dove sono i giovani?…), benpensanti e bellagente restano nell’orbita di Saturno. Forse è solo paura di volare. Il nostro volo, invece, inizia dal recente libro di Di BonaventuraIl guardatore del Carmelo” (il suo secondo, dopo Cent’anni di Rosetitudine; il terzo con la raccolta poetica Il piacere indarno).  In forma di romanzo, un atto d’amore per il teatro, e per la vita. E per il ricordo di Carmelo Bene.

In cabina di pilotaggio lungo l’ammaliante rotta aerea, il valentissimo Simone Cameli guida sicuro i ricordi veneziani del maestro, ne sollecita con devoto affetto le corde più sensibili;  ne fioriscono aneddoti, riflessioni, nostalgie, come ruscelli lungo il corso maestoso del fiume. Su tutto campeggia, con l’ombra titanica “del Carmelo”, quel totalizzante amore per il teatro che per il nostro attore è da sempre passione divorante, pienezza di vita e religione a un tempo. Vi si affacciano – amichevoli, amate, palpitanti come allora – figure troppo presto scomparse alle quali il libro è dedicato: di ognuna l’orma luminosa è impressa così nella vita di Vincenzo come nella lunghissima esperienza teatrale e artistica; persone “capaci di ritorcere un mondo che non voleva saperne di loro, ma loro sì, e tanto”; ombre evocate una ad una con gratitudine e nostalgia, “La cosa di loro che più mi trita dentro è il destino interrotto” scrive nella dedica.

Ed eccole, le vediamo sederci accanto, prepararsi attente all’ascolto. Disposte come noi a farsi travolgere dal sommovimento tellurico che è ogni recital di Vincenzo: che tale è soprattutto oggi, con voce e percussioni chiamate a ricreare l’incantamento che fu lo spettacolo beniano “Quattro modi diversi di morire in versi” dedicato ai “Poeti della Rivoluzione”: Majakovskij, Blok, Esenin, Pasternak, 10.000 spettatori a Milano, anni ’80 del secolo scorso. (Di quello spettacolo, Bene fece dono a Pertini incidendo in esclusiva per lui un 78 giri e sulla copertina le foto dei 4 poeti. Oggi reperto prezioso e raro.  Altri anni, e ben altro Presidente…)

L’attore solista si fa oggi macchina scenica nel pieno dell’accezione beniana: la memoria metabolica procede sulle tracce di quel maestoso Recital, sui passi di Carmelo Bene che possedeva “un’orchestra al posto della voce”. E come scolpiti su un ideale Monte Rushmore nella potente sintesi che è anche omaggio all’indimenticato maestro, si stagliano i quattro poeti della Rivoluzione. Tempi di leggenda furono i giorni incandescenti di quell’Ottobre rivoluzionario, ed esplosiva la fiducia in un avvenire che avrebbe disegnato, tutto intero, l’uomo nuovo.

Ci furono tempi di leggenda / ma sono passati.
E il suicidio come via d’uscita: cercata e trovata, per primo, dal giovanissimo Esenin (Volate, / fendendo le stelle. / Senza un acconto, senza libagioni /  scrive per lui Majkovskij ). Esenin e la sua disperazione (Pochi di noi son salvi […] Ma chi chiamare? Con chi dividere / la triste gioia d’essere ancora vivo?) E il grido di Majakovskij contro la guerra (Sopra i falò s’è fatto buio. Come sommergibile / s’è inabissata / l’esplosa Pietroburgo).  E l’incredulo rabbioso dolore di Pasternak per il suicida Majakovskij (Il tuo sparo fu simile a un Etna / in un pianoro di codardi e di codarde!). La voce attoriale si fa urlo e a tratti bisbiglio in tutt’uno con le percussioni, la memoria prodigiosa di Vincenzo disegna potente la passione civile, lo scontro frontale, il lirismo e la follia, la morte e la vita. Non ci sono resurrezioni (Resuscitami, / voglio la vita non vissuta!) e tuttavia Bisogna / strappare/ la gioia/ai giorni futuri. / In questa vita / non è difficile morire. / Vivere / è di gran lunga più difficile.

 Una distanza cosmica separa il nostro oggi da quel breve inizio di secolo, e il nostro orecchio è coperto di grasso; anche quest’epoca / è difficiletta per la penna, ma il sortilegio è oggi questo meraviglioso volo attraverso l’utopia che scompigliando le nostre comode sicure geometrie le ricompone intorno al messaggio che Majakovskij consegnava al futuro: La parola è un condottiero della forza umana. Voi che restate siate felici, scriverà quel gigante prima di calare anche lui il sipario sull’amato me stesso. Di quei poeti Carmelo Bene aveva penetrato l’anima e l’ardente poesia, l’ansia di vita che era senso incombente di morte, “l’infinita angoscia e l’infinita volontà di bene”. Ed oggi, ancora una volta dopo altre volte e altri anni, Di Bonaventura li riporta a noi: ne abbiamo bisogno, in questo presente che mostra i denti “solo per stridere e addentare”.

Forse è già tardi, e questi poeti sono ormai troppo avanti per noi. Forse – come di Majakovskij scrisse Marina Cvetaeva – “Col suo passo veloce è arrivato lontano, molto lontano dal nostro tempo, e da qualche parte, dietro l’angolo, gli toccherà aspettarci ancora a lungo”.

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Il vostro pensiero,
sognante sul cervello rammollito,
come un lacchè rimpinguato su un unto sofà
stuzzicherò contro l’insanguinato brandello del cuore:
mordace e impudente, schernirò a sazietà.

(V.Majakovskij, “La nuvola in calzoni”1914/15)

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