di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Nei libri, il titolo non è mai casuale. Un autore – un’autrice, come in questo caso – consegna al titolo un compito essenziale, quello di dare il “senso”, quel mood che nella storia narrata è un tutto, l’abito del monaco, la via ascetica delle parole, come fosse, il titolo, il profeta laico dell’insondabile che emerge, man mano che scorrono le pagine. Esagerato? No, non lo è. Ben lo sa chi si dedica alla fatica e al piacere della scrittura. Ben lo intuisce che legge per passione e con spirito introspettivo. Nel romanzo di Alessandra De Angelis, “La danza della cetonia aurata”, Rossini editore, il titolo ha la forza dell’urlo di Munch, nell’accezione positiva del richiamo. Forza prorompente, pur nella delicatezza d’una visionaria danza. Stiamo parlando di un coleottero che, se guardato attentamente, rivela una grande bellezza con i suoi colori metallici che vanno dal verde smeraldo con sfumature bronzee ad un elegante ramato.
La cetonia, nella realtà biologica, compie i suoi voli ma, all’occorrenza, sa fingersi inerte, arrestando ogni movimento, lasciandosi cadere a terra. È il suo modo di proteggersi senza fuggire, spiazzando un predatore ed azzerando l’aggressione. Strategia che funziona, semplice ed efficace, per poter tornare a volare, a danzare, a riflettere la luce del sole con la sua corazza. Infine, ed è l’aspetto affascinante che nel libro viene evidenziato brillantemente, la cetonia aurata è simbolo di rigenerazione, è il faro metaforico che guida nella direzione della conoscenza e sulla via della consapevolezza. La cetonia parla di rinascita, coerentemente con la narrazione. Il romanzo è un vero e proprio “viaggio” di formazione che si snocciola all’interno di un viaggio vacanza della protagonista e le sue amiche.
Nel libro, il coleottero ha sembianze trasformiste, conducendo con sé la protagonista, la giovane Alice, nel luogo fiabesco dove anche uno scarabeide parla, facendo da cerniera tra vita e sogno. La ragazza ambisce al sogno realizzabile, al volo nell’altrove possibile, dopo una vita svilita da ristagno emotivo e blocchi esistenziali per colpa di una relazione sbilanciata, condizionante e asfissiante con un uomo che non la comprende. Alice ha la forza di salire dinanzi all’altare con l’abito da sposa e scendere emblematicamente senza, annullando la consacrazione del matrimonio, dando a quel gesto teatrale il ruolo dell’inizio della trasformazione verso il rinnovamento, ponendo fine alla banalità dell’accondiscendenza.
Il viaggio di nozze, non annullato, si trasforma in vacanza con le amiche Gemma e Lella. Una vacanza che in realtà, nel gioco della vita, fatto di complicità, dialoghi, pettegolezzi, scaramucce, sorprese ed imprevisti, nuove conoscenze e mitologie dell’eros riedificato, è come il volo del coleottero che sa dove andare, raggiungendo nuove rivelazioni interiori, nuovi paradigmi. Sono molte le vie del Cielo, quelle vie laiche e apparentemente imperscrutabili, dove cercare le sfaccettature della Verità, dell’Amore, del Sé infinito. Ci sono sempre delle terrazze che, se raggiunte, consentono visioni diverse degli orizzonti. Il libro scorre piacevole, con una scrittura agile e matura, resa ancor più intrigante da pennellate fiabesche, richiamando i mondi letterari di Lewis Carroll e Carlo Lorenzini (Collodi) con i loro, rispettivamente, “Alice nel paese delle meraviglie” e “Le avventure di Pinocchio”.
Alessandra De Angelis, dopo il romanzo d’esordio e di formazione “Magiche metamorfosi”, Capponi editore, mostra il piglio dell’autrice che osa inoltrarsi nel profondo, senza abbandonare la leggerezza e la semplicità dell’espressione, avvalendosi di citazioni importanti sviluppandole coscientemente, quelle di scrittori che hanno fatto della filosofia la base essenziale, il punto di partenza. Parliamo, tra altri, di Jostein Gaarder, con il suo “Il mondo di Sofia”, ma anche Henry David Thoreau e Walt Whitman. Chi non ricorda, di quest’ultimo, l’ode “O capitano! Mio capitano!” dal quale fu tratto il film “L’attimo fuggente” con la magistrale interpretazione di Robin Williams? Un lungometraggio che passa attraverso i decenni mantenendo il vigore originario e che, nel romanzo di Alessandra, ha la valenza del fil rouge concettuale, il catalizzare emotivo ed esplorativo.
La narrazione si avvale di inaspettati “plot twist”, teatrali colpi di scena che sorprendono, portando il lettore a riflessioni personali, invitandolo a fare una pausa nella lettura per un tuffo nelle proprie emozioni, ripercorrendo la narrazione nell’identificazione degli elementi in comune con quella che è una storia particolare ed originale: la propria vita, così come lo è quella di Alice.
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