Al ritmo del cuore

di SARA DI GIUSEPPE –

“bpm” (beats per minute)

Coreografie:

Artza di Eyal Dadon – Bohemian Gravity di Yemi A.D. – Bill di Sharon Eyal e Gai Behar

Solisti e Corpo di Ballo del Teatro Nazionale di Praga

Teatro Nazionale – Praga – 25 gennaio 2025 h18

Battiti per minuto – beats per minute – è la misura del tempo, così nella musica come nel movimento e nella frequenza cardiaca. Due coreografi cechi e un israeliano, e un trittico coreografico che al centro ha l’uomo, il suo cuore pulsante che tutto determina, che stabilisce il ritmo del corpo e il corpo a sua volta influenza il ritmo del cuore, della musica, della danza: tutto questo è qui, nella danza che si fa messaggio critico sullo stato della nostra umanità, sullo scontro degli opposti che è oggetto primario della scena e la scena è il mondo, teatro delle contraddizioni nel quale da sempre confliggono natura e cultura, istinti e regole sociali, libertà individuale e ordine gerarchico.

Che sia l’animale interiore, ingabbiato da regole e confini sociali, evocato in “Artza” – espressione ebraica del comando perentorio che viene dato al cane – in cui il vocabolario della danza si fa metafora di una società voyeuristica che rifiuta l’animalità ma ne è al tempo stesso attratta; che sia “Bohemian Gravity” evocante nel sottotitolo – Searching for Freedom – quella ricerca di libertà nel labirinto esistenziale che è sfida illusoria e spesso perduta, proprio come il tentativo di contrastare la forza di gravità che ci riconduce ogni volta a terra; che sia l’ipnotico “Bill”, in cui l’uniformità dei corpi fasciati da costumi identici, spersonalizzati fino all’estremo da lenti incolori che accentuano l’astrazione degli sguardi: l’intero trittico è esso stesso metafora, nella diversità delle parti, della belligeranza tra forze uguali e contrarie – natura e società, individuo e massa, diversità e omologazione – che definisce ontologicamente la natura umana.

In ciascuno dei tre elementi la danza dispiega un vocabolario di movimento di rara forza evocatrice: ora dilata lo spazio scenico, come in Gravity, dominato da cerchi concentrici che paiono voler attrarre i danzatori nella propria orbita luminosa come corpi cosmici e i corpi disegnano arabeschi di moto che sembrano spingerli al di sopra della materia salvo esserne respinti dalla propria ineluttabilità corporea; ora lo restringe claustrofobicamente evocando in Artza le gabbie della nostra ferinità interiore e dell’umano soggiacere all’artificiosità degli schemi, alla ferocia delle gerarchie; ora infine lo spazio stesso sembra ritrarsi e scomparire, in Bill, in una dimensione astratta e atemporale fatta di corpi robotizzati, uguali e ugualmente indistinti.

È soprattutto in Bill, nella stratificazione ipnotica di ripetizioni, che la danza riproduce il secolare dissidio tra coscienza individuale e maschere sociali: nel gruppo umano uniforme e indistinto la ripetizione degli schemi di movimento, l’alternarsi di fluidità ed elementi robotici, il linguaggio musicale duro e minimalista affidato al ritmo di musica techno, tutto questo disegna un unicum indifferenziato di individui (…Stesso tempismo, stessa forma, stessa idea, stesso stile… e al tempo stesso assoluta differenza, sottolinea la coreografa Sharon Eyal) e chiama in causa il ruolo del singolo nella massa, le relazioni di quello con la società, quell’imposta uniformità che solo in apparenza è armonia.

E sono allora lo scatto del corpo, l’interruzione del moto, la deviazione dalla traiettoria, ad indicare lo strappo nella rete, l’anello che non tiene; e l’astrazione di una danza sofisticata, quasi asettica, cede alla concretezza e al peso di una materia umana che superando contraddizioni e paradossi pulsa da milioni di anni al ritmo del cuore.
Nell’intensità del tessuto musicale che appoggia ed esalta la fisicità dei danzatori, emergono la perfezione di una tecnica rigorosa ed un’espressività attoriale con cui ogni interprete contribuisce a disegnare l’immaginario confine tra mondo interiore e mondo esterno. Così che possiamo ricordare a noi stessi, quale che sia il mondo che ci contiene e ci ingabbia, che sempre è il ritmo del nostro cuore la misura vera e autentica del vivere.

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