di SARA DI GIUSEPPE –
“POE”
Regia e Coreografia Lenka Vagnerová
Musica Ivan Archer
Národní Divadlo (Teatro Nazionale) – Laterna Magika
Praga 26.01.2025
Tutto ciò che vediamo, o che ci par di vedere
non è ch’un sogno dentro un sogno.
(E.A.Poe, 1849)
“Il dolore ha molti volti. La miseria del mondo assume molte forme” scriveva Edgard Allan Poe e il suo genio allucinato estraeva da quel dolore le immagini di un mondo capovolto e folle, quasi scena teatrale in cui ogni cosa è possibile. Universo diviso tra orrore, misticismo, sogno, umorismo, quello di Poe: che ricreato per il Laterna Magika del Teatro Nazionale dalla coreografa e regista di teatro-danza Lenka Vagnerová, si trasforma in gigantesco carnevale, sorta di teatro totale che coinvolge attori, ballerini, maschere, performer, oggetti di scena; fatto di danza, canto, parole, musica. Quest’ultima, nelle sonorità create da Ivan Archer con la stratificazione degli strumenti e i suoni speciali, aderisce ipnoticamente al mondo visionario di Poe trasferendone sul piano musicale in ugual misura il lirismo, la sofferenza, la follia.
E sono i racconti Il pozzo e il pendolo, Hop Frog, La maschera della morte rossa, interconnessi dalla struttura drammaturgica e raccordati da audaci soluzioni scenografiche, a fare dell’universo onirico, poetico, ammaliante dell’autore uno spettacolo iperbolico e sorprendente, inquietante e labirintico. Vi trionfa la forza evocatrice dello scrittore che seppe scandagliare ogni angolo, luminoso e oscuro, della psiche umana; riconoscervi la bellezza, contemplare con occhio assorto il potere e il male nelle sue infinite ramificazioni, prendersi gioco del demoniaco, sentire la poesia dove più la paura, la povertà, il dolore aggrediscono la dignità umana.
Vi riversava intera la sua esperienza di vita, la percezione del volto oscuro delle cose, la coscienza della morte come elemento costitutivo della vita e dell’amore, lo stigma di un’esistenza vissuta controcorrente (così come bambino nuotò per 6 miglia controcorrente nel fiume James a Richmond). Quell’universo dolente e profondamente intimo racchiudeva in sé gli interrogativi eterni dell’uomo, e quello che Dino Campana chiamerà più tardi il panorama scheletrico del mondo.
Su questa scena le storie, non narrate bensì evocate, si dipanano in un caleidoscopio di immagini di assoluta oniricità, di soluzioni visive eccentriche, di fantastici oggetti di scena in un flusso continuo di azioni che materializzano pensieri, emozioni, deliri di una creazione letteraria tuttavia lucidissima, che della mente umana ha scandagliato tutte le profondità, anche quelle che non vorremmo vedere, che non avremmo mai visto; che seppe scrivere con uguale profondità di filosofia e di Dio, di morte e di vita…
Ecco allora, in questa produzione che unisce danza e drammatizzazione, l’enorme pendolo del racconto omonimo, con la sua lama tagliente simile al braccio di una torre mineraria, attraversare ritmicamente il palco per fermarsi ora a destra ora a sinistra. Ecco i corvi disseminati sulla scena far da contorno alla figura dello stesso Poe emergente da un tappeto di libri e di carte. Ecco nello straniante Hop frog i surreali deformi costumi dei cortigiani, quasi a voler renderne visibile esteriormente la deformità interiore (costumi che sadicamente si incendieranno – ma qui è solo vento – proprio come, se è vera la storia, in quel “ballo delle lucciole” del 1393 in cui i costumi del re francese Carlo VI presero fuoco). Ecco la danza degli Inquisitori, terrificanti nell’immobilità facciale e nelle pettorine bianche emergenti dalla scena buia; ecco i topi (meccanici, vivaddio) invadere la scena; ecco i ballerini spostarsi meccanicamente su carrucole fissate ai piedi in una rigidità robotica che accresce l’orrore.
C’è la farsa e c’è il dramma, ci sono le atmosfere gotiche e la poesia, in questo allucinato carnevale da cui emerge la forza creativa di un gigante della letteratura. Ci sono i fantasmi sinistri che ne popolarono l’immaginario esistenziale, c’è il suo universo letterario alla ricerca costante della perfezione; c’è il lato oscuro di una sensibilità accesa tanto segnata dalla perdita e dalla paura quanto attratta dalla bellezza e dalla poesia (Ch.Baudelaire trovava, nella sua, “qualcosa di profondo e luccicante come il sogno, di misterioso e perfetto come il cristallo”).
Un mondo interiore tormentato e immaginifico, un messaggio universale che promanava dalla cognizione del dolore tanto quanto dallo slancio vitale che a quella si accompagnava: tutto questo si è fatto spazio a lungo oggi sulla scena, e con l’amorevole devozione che si deve ai grandi ha materializzato qui, per noi, il genio ammaliante e unico di questa “lanterna magica”, il fantasma lunare di Poe.
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