di SARA DI GIUSEPPE –
Paola Celi
“Disarmonia leggera”
Mostra Personale
A cura di Andrea Viozzi
23/’03 – 27/’04
2025
Palazzina Azzurra
San Benedetto del Tronto
========
“… avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia stessa della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”
(Eugenio Montale)
===============
Nascono nel suo giardino, quei limoni: Paola li ha portati qui col loro giallo sfrontato perché siano un omaggio a Montale, al suo Ossi di seppia a cent’anni dalla pubblicazione, e al “nostro” aoidos Di Bonaventura che oggi, in questo spazio dedicato alla bellezza e all’arte, ne ripercorre i versi e la biografia poetica. Ancora poesia – e della più alta – è quella che affianca, quasi didascalie in versi, le creazioni di Paola Celi: e sono, oltre a versi montaliani, oltre al leopardiano grido di dolore “All’Italia” (… dite, dite / Chi la ridusse a tale? ), i versi di Giarmando Dimarti “trovatore dell’ombra”, quelli dello stesso Di Bonaventura, e la “Disarmonia leggera” di Paola Celi con la sua ricerca di approdi sicuri nella Bellezza.
Tanta di quella poesia – pittorica, in versi, e anche in musica – c’è dunque fra le pareti di questa azzurra Palazzina da esserne perfino sopraffatti, sicché dovremmo dire “fermati, sei bello” a questo frammento di tempo che ci è dato, nel chiassato silenzio del confuso presente… Bello è dunque il naufragare tra le molte suggestioni di una produzione pittorica magistrale, che trascorre dal figurativo al concettuale senza apparente contrasto, essendo l’energia interiore e la forza evocatrice il solido fil rouge che ne raccorda ogni parte.
Sceglie “l’agile salto del poeta”, Paola Celi, per oltrepassare disarmonie, disaccordi dell’incedere vivendo. E il suo voler guardare il mondo con nuovi occhi è in quei volti femminili che ci chiamano e ci parlano; che reclamano, anzi, e hanno ”voce” perentoria che trattiene e obbliga a fermarsi, a leggere la complessità dentro gli sguardi, l’universo interiore dietro i chiaroscuri. Sollecitano risposte, quegli occhi aperti su di noi, e le linee sensuali dei corpi suggeriscono storie, indicano percorsi, additano orizzonti per una femminilità finalmente umana, affrancata dal pregiudizio e dallo stereotipo.
Dove poi l’ispirazione trapassa dal figurativo al concettuale, si azzerano le coordinate spazio – temporali e l’oggetto, così come nella poesia montaliana, si fa correlativo oggettivo, evocatore di significati, strumento di una ricerca di senso che superi la disarmonia e collochi l’uomo consapevolmente di fronte a sé stesso e “nel mezzo di una verità”. Non poteva che essere l’antieloquenza montaliana, allora, la poesia da collocare in questa cornice.
E la scabra essenzialità degli Ossi di seppia che la voce attoriale scaglia fra noi ci appare un tutt’uno con la forza simbolica – ora surreale ora inquieta ora beffarda – degli oggetti alle pareti sottratti alla normalità del quotidiano perché, come la parola poetica, colgano l’essenza delle cose. Lo sguardo fruga d’intorno, nel verso montaliano, cerca l’illusione e si ritrae sconfitto, e l’azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, fra le cimase: eppure tutto, in Ossi di seppia, “cerca di darsi una voce” (S.Solmi), il disincanto si trasforma in messaggio e norma etica nell’attimo stesso in cui constata, e virilmente accetta, il deserto del vivere.
È per questo afflato titanico che oggi il nostro aoidos ripercorre attraverso le interviste al poeta (l’Intervista immaginaria del 1946 ed altre) la genesi e il senso di quella poetica, la fertilità e l’universalità di un approdo che – così come nel pessimismo leopardiano è l’utopia solidaristica de La Ginestra – in Montale e in Ossi di seppia è la ricerca della smagliatura nella rete, dell’anello che non tiene, del fantasma che può salvare. E che, nell’accettazione del male di vivere, diviene rifiuto di miti e di ottimismi consolatori, poderosa lezione etica capace di tradursi, all’epoca, in azione politica e militante opposizione.
Scivola via, e vorremmo trattenerla, l’abbondante ora e mezza di immersione nella poesia montaliana che il vulcanico Di Bonaventura arricchisce di stralci di confidenze e “confessioni” attraverso le interviste: ci rivelano, fra molto altro, il talento musicale del poeta, l’aspirazione a una carriera baritonale (“Un’ambizione più concreta e strana mi occupava, diventare baritono”) fatalmente spezzata dalla morte del suo maestro, Sivori, e accomodatasi più tardi nella lavoro di critico musicale; e perfino, curiosamente, la passione per la pittura (“…tornò con una cassettina piena di gessi colorati e con un cartone in cui si vedeva un paesaggio che ricordava vagamente lo stile di Semeghini…” **).
È dunque nel posto giusto oggi, il poeta: perché Qui delle divertite passioni tace la guerra, perchè qui si sentirebbe in gradita ed ottima compagnia, con Paola Celi, con Vincenzo Di Bonaventura, con Giarmando Antonio Dimarti.
================
*Quando un giorno da un mal chiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
(E.Montale, I limoni, in Ossi di seppia)
** Intervista con Enzo Fabiani, in “IUNCTURAE “ giugno 2023
Copyright©2025 Il Graffio, riproduzione riservata