di RAFFAELLA CIUFO –
Nel 2007, secondo l’allora ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa, i giovani italiani bamboccioni lo erano, tanto che al riguardo diceva “incentiviamo ad uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. É un’idea importante”. Francamente un’ideona in sé da restarne basiti, per l’ovvietà. Ma tuttavia, possiamo ricordare nel passato remoto – sono trascorsi ormai più di dieci anni da quell’affermazione – o nel passato prossimo forme d’incentivo, atte a mandare “i bamboccioni fuori di casa”? Sinceramente no e molti giovani, in buona parte diventati nel frattempo cresciutelli, sono ancora in casa o ci sono per necessità ritornati.
Forse, potremmo pensare, anche perché loro stessi, “questi giovani” – nella dizione forneriana – non si aiutano, essendo choosy (schizzinosi) ? Mostrando pretese, francamente lecite, di potersi scegliere un lavoro che li appassiona, per cui si sentono portati o meglio ancora per cui si sono formati? Formati, con buona volontà e impegno, con il sostegno economico delle famiglie oppure automantenendosi agli studi, certo rallentando il percorso e per questo, rispetto ad altri, in aggiunta anche “sfigati” per non aver concluso il loro corso universitario entro i 28 anni – così come nel 2012 con insipienza li classificava l’allora viceministro del lavoro, Michel Martone.
A “questi giovani” si è detto di tutto, persino che se a frotte emigrati per costrizione all’estero, beh allora – parola dell’ex-ministro del lavoro Giuliano Poletti, 2016 – per alcuni “meglio non averli fra i piedi”. Meglio non averli fra i piedi? Ma come si esprimono questi ministri? Più esattamente, come si permettono? Scivoloni, poi rettificati? No, parole-pietra, offensive, a lingua sciolta, da parte di chi sembra proprio vivere ben chiuso dentro la propria torre eburnea, con il ponte levatoio sempre tirato su. Perché altrimenti non si spiega.
Non si spiega come mai, invece, non si sobbalzi davanti ai numeri dell’emigrazione degli italiani. Oggi siamo arrivati – con un calcolo persino approssimato per difetto – a 250mila italiani all’estero, una cifra poco distante da quella registrata nel dopoguerra. Non si spiega come non ci si allarmi se le statistiche dicono che oggi un giovane su cinque risulta inoccupato e non segue alcun corso di studio. Alla fin fine, perché investire tempo, fatica e denaro negli studi, quando in concreto – come ampiamente si dimostra – studiare non serve ad altro se non ad un pregevole, ma non monetizzabile arricchimento personale?
Insieme ai numeri dell’emigrazione, sono spaventosi in parallelo anche quelli della disoccupazione che nel 2018 – pur rimanendo un’enormità – sarebbe scesa a circa il 32,7%. Sarebbe, perché in realtà questo dato non riguarda i posti di lavoro, quanto piuttosto il numero di occupati, comprendendo anche gli occupati saltuari, ad intermittenza, lavoratori anche per un solo giorno e così via. Dunque, se ne deduce che il tasso di disoccupazione risultato in riduzione non è veritiero, anche perché è sotto gli occhi di tutti che la povertà anziché evidenziare una tendenza a diminuire – come coerentemente dovrebbe – invece continua a salire. Come mai? In tutta evidenza, rilevazioni statistiche sulla disoccupazione così impostate distorcono la realtà.
Come pure è evidente che i giovani e i meno giovani italiani non sono choosy, per quanto a dimostrazione sono sommerse di curricula tutte le Agenzie per il Lavoro. Non basta nemmeno riqualificarsi per trovare un lavoro, perché poi sul campo il requisito richiesto è l’esperienza, che ovviamente non si ha. Né basta de-qualificarsi senza tante storie ovvero annullare d’un colpo il proprio diploma di laurea o anche di maturità. Niente! É il lavoro proprio che non c’è. Altro che bamboccioni, choosy, sfigati e in definitiva inetti che è meglio vi siate tolti dai piedi. Studiate. Aiutatevi, riqualificatevi. Siate flessibili e realisti. No, non si può sentire più neanche mezza parola in questo senso. Né se pò più vedé – come si direbbe schiettamente nella nostra capitale – che il 40% dei nonni italiani sostiene figli e nipoti. Non basta dire c’è crisi. In altre Case d’Europa, ugualmente scoperchiate dal tornado della crisi globale, gli equilibri sono stati riportati o sono working in progress. Allora, se pò fà, non è impossibile.
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