di RAFFAELLA CIUFO –
I sampietrini – o sanpietrini oppure anche selci – sono blocchetti di selce, utilizzati in passato per lastricare strade e piazze italiane, fra cui la prima fu la pavimentazione di piazza San Pietro a Roma, da cui i selci derivarono propriamente la loro denominazione. Sotto il papato di Clemente XII Corsini – siamo intorno alla prima metà del ‘700 – i sampietrini andarono poi a sostituire gran parte delle vecchie pavimentazioni di tutti e quattordici rioni, in cui allora era suddivisa Roma e per il loro impiego, sempre più diffuso fino ai primi del ‘900, questi selci divennero – come ancora oggi – un’apprezzata caratteristica distintiva del paesaggio urbano romano. Molto apprezzata, perché cavare la pietra, selezionarla per ricavarne pezzo pezzo il blocchetto più giusto anche in base al colore e alle venature, e poi posare i selci creando disegni, come fossero i lastricati degli enormi mosaici in continuum, è stata opera artistica di un’artigianalità d’eccellenza e che ancora oggi suscita grande ammirazione e delizia per gli occhi.
I sampietrini, sgrossati e rifiniti manualmente, hanno forma di piramide tronca e le dimensioni più comuni misurano 12x12xh18cm oppure 12x12xh6cm. La tecnica di messa in opera prevede che i selci vengano posati battendoli con una pesante mazza su un letto di sabbia e/o pozzolana, andando a formare un lastricato molto elastico con ottimo adattamento al fondo stradale e – non essendo cementato – con il pregio di “lasciar respirare” il terreno e in grado di assorbire l’acqua piovana. Per la bellezza delle realizzazioni con sampietrini e per i relativi pregi tecnico-funzionali, dopo l’Unità d’Italia i selci “romani” divennero un materiale richiestissimo e andarono ad abbellire molte città italiane come, fra altre, ancora oggi ad Ancona, Cagliari, Napoli nel centro storico.
I sampietrini si sbozzavano con mazza, cuneo e mazzetta da seduti a terra, come immortala il selciatore intento nella sbozzatura la statua bronzea, eretta in onore di tale maestria artigiana nella Villa Comunale di Alfedena, un antico e piccolo borgo in provincia dell’Aquila. Infatti, gran la parte dei selciatori attivi per oltre due secoli proveniva dall’Abruzzo, prevalentemente da Alfedena, dove in quanto all’economia del borgo si assisteva annualmente a due diverse “transumanze”: nel tempo del fieno, ci si riversava in campagna; poi gli uomini andavano a lavorare nelle cave per estrarre la pietra, che quindi lavoravano in blocchetti, che finiti venivano trasportati prevalentemente a Roma, completando il lavoro con la posa in opera dei sampietrini. La comunità dei selciatori alfedenesi divenne nei decenni sempre più numerosa e importante per la riconosciuta abilità, tanto che nel 1890 venne fondata – a tutela di questo mestiere d’eccellenza – la “Società Cooperativa Selciatori di Alfedena” nella località di Laghetto, frazione di Monte Compatri, perché lì i selciatori abruzzesi si erano insediati per la vicinanza con le cave di basalto, con cui furono lastricate in gran parte le strade di Roma.
Oggi il sampietrino è in disuso e il mestiere del selciatore quasi totalmente scomparso. Ma vivo ne rimane il ricordo, la testimonianza della fatica, dell’abilità e dell’arte in ogni tassello di pietra posato nelle stradine stesse di Alfedena, il delizioso borgo delle origini, da cui questo linguaggio e stile espressivo unico hanno percorso tante strade, fino a superare i confini italiani per arrivare ancora più lontano nelle terre d’emigrazione.
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