Giovanni Tebaldini, sambenedettese per vocazione

Giovanni Tebaldini commemora Verdi al Circolo Cittadino di San Benedetto (10 ottobre 1951)

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Quotidianamente, molte persone salgono i gradini che portano nella piazzetta della sede municipale di San Benedetto del Tronto e, con attenzione o distrattamente che sia, sbirciano in direzione dell’ingresso dell’Auditorium Giovanni Tebaldini. Magari c’è il manifesto di una iniziativa culturale che attira l’attenzione, o è in corso una conferenza stampa, un evento musicale, la presentazione di un libro, o forse nulla in quel momento. L’Auditorium è una bella struttura ampia che ospita fino a 176 persone. Molti di noi ci sono stati in più occasioni e forse qualcuno si sarà chiesto chi è quel personaggio, Giovanni Tebaldini, che da’ nome alla sala. Nel leggerne la storia si resta sorpresi perché il musicista, nato a Brescia il 7 settembre 1864, organista ma anche direttore d’orchestra, musicologo e compositore, ha avuto onorificenze e incarichi di prestigio in tutta Italia ed ha vissuto l’ultimo decennio della sua vita proprio a San Benedetto del Tronto, vivendo una vita lunga, piena di soddisfazioni. Insomma, un bel curriculum fino a 88 anni, quando morì, l’11 maggio del 1952.

Guardiamo un po’più da vicino questo nostro concittadino. Si nota, e ci fa piacere, che le Marche sono state nel cuore di Giovanni ben prima che decidesse di soggiornarvi definitivamente. Dal 1902 fino al 1925 è il direttore della Cappella Musicale della Basilica della Santa Casa di Loreto. Basta dare un’occhiata all’epoca giovanile per capire come Tebaldini sia stato un fine conoscitore della musica italiana, ma anche un riformatore, spaziando tra la musica sacra e quella profana, dirigendo, componendo e trascrivendo centinaia di partiture.  Il Conservatorio che lo forma è quello di Milano, dal 1883 fino al 1886, sotto l’occhio vigile di Amilcare Ponchielli e subito diventa organista di una grande cattedrale. Ma il giovane Giovanni non è uomo di confini e limitazioni e va a perfezionare la sua preparazione a Ratisbona nel 1889. Da lì, è un crescendo di impegni prestigiosi senza interruzioni. Prima nel campo della musica sacra, a Venezia, dove dirige la Cappella Marciana, poi a Padova nella direzione della Cappella musicale della Basilica del Santo; successivamente amplia il repertorio andando a dirigere per alcuni anni il Conservatorio di Parma, contraendo amicizie fondamentali e di primo piano, come quella con Giuseppe Verdi. Ecco le Marche, a Loreto, come già scritto.

Eppure Tebaldini non s’accontenta, ha bisogno di esperienze a largo raggio, pur restando nell’ambito musicale. Va ad insegnare al Conservatorio di Napoli, il San Pietro a Majella, subito dopo la parentesi marchigiana e poi risale a nord, per dirigere il Liceo Musicale Monteverdi di Genova. Con queste ultime esperienze nella didattica arriviamo al 1932. Tra direzioni artistiche e didattiche, studi e trascrizioni, Giovanni Tebaldini, è anche autore di molte pubblicazioni che non citiamo per non essere eccessivamente didascalici. Non bastasse, ha rapporti di collaborazione come critico musicale con importanti periodici del tempo, sia riviste specialistiche che quotidiani. In definitiva, un curriculum di primordine che conta anche quasi duecento conferenze e molti saggi scritti. Riceve onorificenze, sia in Italia che in Spagna.

Sembrerebbe che in tanta capacità ed impegno professionale non possa esserci tempo per la famiglia ed il privato. Invece, ecco che si sposa con Angioletta Corda ed una delle figlie, Brigida, dopo il matrimonio, si stabilisce a San Benedetto del Tronto, ospitando il genitore nell’ultimo decennio della vita del compositore. Tuttora, molti discendenti risiedono nella provincia di Ascoli Piceno e nella Riviera delle Palme.
Negli anni sambenedettesi, pur non più giovane, Giovanni si dedica alla scrittura dei ricordi personali e non solo quelli con il grandissimo Verdi, ma anche le collaborazioni con Arturo Toscanini. Compone rapsodie ed inni, come quello dedicato ai Sacramentini, nello specifico a Padre Sirio. D’ora in poi, entrare negli spazi dell’Auditorium significherà anche onorare un uomo così prodigo, esemplare, a suo modo unico.

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