Un nuovo patto per la scuola. Si deve rischiare per il bene degli studenti

di ALCEO LUCIDI –

RUBRICA “DRITTO E ROVESCIO”

Alceo Lucidi

La scuola, uno dei pilastri dello Stato di diritto, laica ed obbligatoria, indispensabile per la crescita del sentimento civico di una nazione, si sa, è in crisi da tempo. A valere sono tanto i gridi di allarme lanciati da alcuni insegnati più avvertiti – ricordiamo un libro di qualche anno fa di un docente di periferia, Marco Lodoli, che nel “Rosso e il blu” raccolse storie e vissuti di ordinaria disaffezione alla classe ma anche di grandi slanci, seppure isolati – quanto le mancate riforme, succedutesi nel tempo, che non sono riuscite ad imprimere un vero cambiamento di fondo, un’accelerazione alle dinamiche dei rapporti di forza tra la scuola, gli alunni e le famiglie.

Prima i cicli scolatici con i crediti formativi, poi le varie leggi e regolamenti attuativi sugli ordinamenti, sul giusto equilibrio delle materie di insegnamento, sulle sperimentazioni (con l’introduzione della lingua straniera nell’insegnamento curriculare di talune discipline), infine, gli organici specializzati in un vero lavoro di équipe tra linguisti, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali perché la scuola pubblica possa portare ogni allievo, con il suo fardello di affanni, ad un livello di apprendimento sufficiente per affrontare un mondo difficile. Il contesto operativo, seppur ricco di suggestioni e progetti, ha tardato a trovare riscontri nel terreno della didattica al servizio degli alunni.

Se la scuola disperdesse un patrimonio di conoscenze faticosamente accumulato con il tempo e, forse, non adeguatamente salvaguardato; non unisse le competenze; non generasse gruppi di lavoro in grado di dialogare con le famiglie – il primo nucleo di formazione – costruttivamente; se la scuola abdicasse ad un ruolo di raccordo e si appiattisce alle logiche del qualunquismo imperante che si respira a pieni polmoni nelle nostre comunità – oggi più che mai – e al quale tanti direttori occulti vorrebbero acquietarci, essa verrebbe meno al suo compito.

La scuola deve rischiare per il bene dei suoi figli, gli studenti, restituendo loro la centralità pedagogica e, direi, soprattutto umana, affettiva che meritano. Deve dare regole senza che vengano travalicate, rimanendo fedele ad un’immagine di disciplina, eppure trovare la giusta empatia con i suoi non sempre facili discenti. Badare alla loro salute morale, fisica, didattica, più che avere paura delle iscrizioni e dei finanziamenti. Evitare la corsa ad ostacoli degli esami ed essere composta da insegnanti – formati sotto il punto di vista professionale ed umano – che restituiscano il giusto clima, riprendendo i rapporti con le famiglie, facendo capire loro che la scuola non può essere ridotta a terreno di rivendicazioni per coprire responsabilità e mancanze, ma un luogo di dialogo, di intese, nonostante la durezza della docenza, lo sforzo che il conoscere esige.

Gli insegnati dovrebbero, d’altro canto, sentire il ruolo assegnato e anche percepirsi meno soli, vedendo rispettata la dignità del loro lavoro e l’autorevolezza che in passato li contraddistingueva. Insomma, essere l’incarnazione di un’istituzione fondamentale che, oltre ogni formalismo, ha bisogno di un riconoscimento più pieno. I casi di violenza contro gli insegnanti e tra ragazzi lo riportano progressivamente alla cronaca, ogni giorno che passa, in maniera drammatica.


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