di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
Ci lascia uno dei maggiori scrittori e intellettuali della letteratura contemporanea. Un’anima sensibile e ottimista nonostante l’immenso dolore che ha segnato profondamente la sua vita fin dall’infanzia, dal suicidio della madre ai contrasti col padre (fervente sostenitore della destra ebraica), dalla ribellione al pesante clima politico in cui è costretto a crescere fino all’abbandono della famiglia quando aveva appena quindici anni. Amos Oz è l’autore che più di tutti è riuscito a raccontare le vicende e le contraddizioni del suo popolo utilizzando la propria esperienza personale, trasmettendo emozioni autentiche, una malinconia profonda, mostrando al mondo intero in quali termini i conflitti si ripercuotono nella vita delle persone. Una storia di amore e di tenebra la sua, esattamente come recita il titolo del suo più celebre romanzo.
Scrittore pluripremiato, intellettuale influente, fervente sostenitore della “soluzione dei due Stati” per il conflitto arabo-israeliano (ne parlò per la prima volta nel 1967 con il celebre articolo Terra dei nostri Padri) e degli Accordi di Oslo come percorso di un processo di pace, Amos Oz è amato perché attraverso il suo impegno politico combatte il terrorismo palestinese ma anche l’estremismo del suo Paese, perché grida il dolore della sua gente. «Il nostro problema più grande è la scomparsa della solidarietà sociale. Qui si sta sviluppando un grande egoismo che non ha vergogna nemmeno di se stesso» dichiarava in un’intervista nel 2002 «Vent’anni fa una ragazza di Bet Shean disse in televisione “Ho fame” e vibrarono gli stipiti delle porte. Oggi invece perfino se quella ragazza morisse di fame in diretta televisiva, non succederebbe niente, a parte i dati di ascolto e pubblicitari che userebbero l’incidente per i loro scopi».
Avrebbe dovuto ricevere il Premio Nobel, perché i suoi libri hanno fatto il giro del mondo e hanno raccontato la guerra delle guerre ma anche l’amore per gli ultimi, perché la sua scrittura è coinvolgente, perché narra di sentimenti contrastanti e con colori unici e irripetibili, perché la sua era la penna di chi è cresciuto in un ambiente permeato dalla religione eppure sembra rimasta laica. Ma era troppo israeliano perché Stoccolma lo premiasse.
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