di REDAZIONE –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Le associazioni “La Stazione Ornitologica Abruzzese” e “Ambiente Salute nel Piceno” hanno inviato nuove osservazioni, dopo quelle di luglio 2018, nel procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale del progetto “pozzo Donata 4 dir” dell’ENI per la perforazione di un nuovo pozzo dalla piattaforma esistente “Emilio” in Adriatico di fronte alla costa tra Martinsicuro in Abruzzo e San Benedetto del Tronto nelle Marche (a 27 km dalla costa; 14,6 miglia marine). Anche il comune di San Benedetto del Tronto è quello di Martinsicuro stanno inviando le loro osservazioni. «Il progetto ha già avuto una fase di osservazioni e la commissione VIA ha chiesto una serie di approfondimenti. – spiegano le due associazioni – Le integrazioni fornite da ENI sono state considerate rilevanti per i cittadini e, quindi, sono state oggetto di ripubblicazione per 30 giorni sul sito del Ministero dell’Ambiente con scadenza 9/01/2019. Riteniamo che su molte questioni sollevate, dalle risibili royalties all’impatto sui fondali, dal rischio di gravi incidenti alle emissioni fuggitive di metano fortemente clima-alteranti, non siano state date risposte. Gli unici studi sostanzialmente nuovi sono quelli sul rumore e sul rischio di terremoti indotti dalle estrazioni».
Le associazioni sottolineano, ad esempio, la mancanza di approfondimenti sugli effetti dei rumori. «Sulla questione dell’inquinamento acustico, – spiegano – oltre a rilevare comunque un certo rischio di disturbo anche oltre un chilometro durante le fasi di perforazione, si sostiene incredibilmente che tanto gli animali acquatici sono già allontanati dal rumore esistente. Vogliamo ricordare che l’Adriatico, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, è un mare già sottoposto ad un impatto antropico insostenibile e la logica ci dovrebbe portare ad alleggerire l’impatto, non a peggiorarlo visto che la situazione è già grave. Sul rischio sismico di terremoti indotti, lo studio da un lato ammette l’esistenza di importanti lacune conoscitive sui dati e dall’altro conclude testualmente che “il risultato sembra escludere situazioni di rischio”. Ci chiediamo se in un’area costiera densamente abitata, con case costruite spesso senza criteri anti-sismici, ci si possa accontentare della parola “sembra”. Inoltre non vengono neanche prese in considerazione le pubblicazioni scientifiche che evidenziano la possibilità di riattivare faglie silenti anche da molti milioni di anni».
«Le integrazioni cercano di dipingere il metano come fonte energetica “più pulita” sorvolando sulla necessità di abbandonare le fonti fossili in fretta a causa dei cambiamenti climatici come sostengono tutti gli scienziati. – proseguono le due associazioni – In particolare non risponde sul problema delle emissioni dirette in atmosfera di metano, che emesso tal quale è un pericolosissimo gas clima-alterante, 80 volte più impattante della CO2. Le perdite nelle strutture estrattive sono fatto accertato mentre qui ENI, invece di quantificarle per permettere una valutazione oggettiva, si limita a dire che le inizierà a monitorare dopo tre anni dall’avvio del progetto. Nello studio ENI sostiene che l’Area Marina Protette del Piceno, individuata dal Parlamento ormai da molti anni, non essendo stata istituita non può essere ritenuto come ostacolo allo sviluppo del progetto. Il buon senso ci dice che se un’area ha dei valori secondo il Parlamento, dovremmo preservarla attentamente proprio in vista della sua tutela con gli strumenti adeguati, come la fascia di rispetto di 12 miglia attorno alle quali non si dovrebbero sviluppare nuovi progetti di estrazione di idrocarburi».
«Infine ENI rivela che ha depositato uno studio al MISE per sfruttare il campo fino al 2040 nonostante la concessione sia. – concludono – Peccato che tale documento non sia allegato allo Studio di Impatto Ambientale. Nuove trivelle infesteranno il mare Adriatico per altri decenni alla faccia dell’Accordo di Parigi? Tra l’altro la concessione è scaduta il 7 luglio 2018 e l’ENI ha presentato domanda di proroga quinquennale il 29/03/2016. Auspichiamo che si ponga fine a questo stillicidio di progetti e si blocchi ogni nuovo intervento nei mari italiani. L’Adriatico deve vivere».
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