di GIUSEPPE FEDELI –
Solo una manciata di parole per commentare l’arrivo della Pasqua. La Pasqua – da Pèsach, festività ebraica che dura otto giorni, sette nel solo Israele, e che ricorda la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto, e il suo esodo verso la Terra Promessa – rappresenta il culmine, il “punto di non ritorno” del nostro pellegrinaggio sulla terra. Con la Pasqua si spalancano le Porte a un’Altra Dimensione, perché Cristo ha offerto alla Croce il suo corpo e il suo sangue, per la salvezza di ciascuno di noi, il terzo giorno risorgendo da morte. Ma di questo gesto tanto semplice quanto sublime ci dimentichiamo troppo spesso: la fede va alimentata attimo dopo attimo; come il corpo, anche lo spirito ha bisogno di essere coltivato con cura e abnegazione. È un rischio che vale la pena di correre.
Quanto all’aspetto pagano di questa festività, ne abbiamo piene le tasche: abbiamo letto e riletto di tutto e di più (scusate l’espressione trita) su quella ilare indifferenza, ma il più delle volte non si ha il coraggio di affrontare a viso aperto la “questione”, bene accovacciati su due cuscini. Ogni giorno vediamo a cosa si riducono le cosiddette feste comandate religiose: a una sorta di shopping (adesso un po’ di meno, a motivo della crisi galoppante), a uno scambio melato e troppo spesso ipocrita di auguri. Al conformismo dei benpensanti che deve far apparire ad ogni costo che si è “per bene”. Chiave di lettura stonata e sbagliata, ma vallo a far capire ai più: troppo faticoso coinvolgersi in una sfida per la quale ne va tutto di noi; rimettersi in discussione su un cammino discosceso, irto di dubbi, prove, riprove.
Lo zenit della Fede è arduo da raggiungere. Anzi, la fede è tale quando è combattimento spirituale, bisogna attraversare le tenebre per arrivare alla Luce: è questo l’insegnamento dei grandi spiriti che hanno sposato il Messia. Soltanto incamminandosi su questo sentiero – senza diversioni di sorta, né scorciatoie e soluzioni a buon mercato – si può trovare una ragione alla propria esistenza, anche se il percorso è costellato di mille difficoltà, di ostacoli inspiegabili, di ferite, che sovente ci fanno gridare al cospetto dell’Altissimo.
È qui la chiave di volta: la fraternità, un tu al quale relazionarsi. Il che è un anticipo di quel Gaudio senza fine che ci è stato promesso e che ci sarà svelato nella Parusia: cui ciascuno di noi anela, nella inguaribile nostalgia di quell’Eden che molti – i più- soffocano, affidandosi a sensazioni effimere, a palliativi, a paradisi artificiali che portano alla più buia, disperata solitudine: a quel vuoto che è il vero Inferno, di fronte a cui vien fatto di supplicare: «Non nobis, Domine!». Auguro una santa Pasqua a tutti i fedeli lettori.
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