di MASSIMO CONSORTI –
La notizia è nefasta, di quelle da uppercut violento che tramortisce corpo e anima. Il “cibo degli dei”, che nel frattempo si è trasformato nella soluzione più a buon mercato per la cura di depressioni, solitudini e mancanze d’affetto, rischia seriamente di scomparire.
Gli scienziati gli danno ancora qualche anno di vita poi, a causa dei cambiamenti climatici sempre più dannosi, le piante di cacao scompariranno. Le previsioni più rosee dicono il 2050, qualcuno però ventila l’ipotesi che possa verificarsi con qualche anno di anticipo.
Il fatto è che le piante di cacao hanno bisogno di un microclima particolare e di un tipo di terreno che, finora, è possibile trovare solo in Africa (Costa d’Avorio, Ghana, Madagascar e Tanzania) e in Sudamerica (Perù, Colombia, Ecuador). Per non parlare poi dell’umidità che deve essere costante e compresa fra il 70 e il 100%.
Qualcuno, come coloro che non hanno aderito all’accordo sul clima di Parigi (o ne sono usciti), se la cavano dicendo che tutto ciò fa parte del complotto internazionale degli scienziati contro il carbone, invece, secondo le previsioni più attendibili, la temperatura globale crescerà di oltre due gradi nei prossimi trenta anni, clima impensabile per le piante del nostro amato cioccolato.
Se qualcuno avesse bisogno di una ulteriore conferma, deve sapere che la Mars Company, sta investendo oltre un miliardo di dollari con l’Università della California, non solo per la modificazione del genoma del cacao al fine di renderlo più resistente, ma anche per la coltivazione in vitro delle piante, aspetto che le consentirebbe di risparmiare un sacco di soldi per la delocalizzazione delle piantagioni.
C’è da considerare poi che la domanda di cioccolato è cresciuta enormemente negli ultimi anni per colpa dei cinesi che lo hanno scoperto e che, pare, lo apprezzino molto.
Ma in Italia cosa accade? Le principali industrie dolciarie nostrane, hanno invertito da tempo la tendenza di rifornirsi dai grandi coltivatori. Amedei, Tessieri e Domori, solo per fare qualche nome, privilegiano la varietà Criollo (la più pregiata tra i cacao) e Trinitario, le cui zone di crescita sono in Sud America, spesso con micro piantagioni di proprietà di famiglie di contadini, con filiera controllata e certificata. Domori, per esempio ha la sua piantagione in Venezuela dove ha dieci varietà di cacao Criollo e dove ha creato una vera e propria riserva botanica. La sua seconda linea, il Trinitario, arriva da piccoli coltivatori di Madagascar, Tanzania, Perù, Colombia e l’Arriba National dall’Ecuador.
Possiamo solo immaginare che cioccolato verrebbe fuori da una coltivazione in vitro ma non dovremmo sorprenderci più di tanto. La UE, tanto per fare un esempio, quattro anni fa tentò di far passare una leggina con la quale si sarebbe potuto chiamare cioccolato anche quello fatto senza cacao. Indovinate chi la propose? La Germania, of course.