di ROSITA SPINOZZI –
Diciotto milioni di euro di debiti sono troppi per chiunque. Anche per la Borsalino, celebre fabbrica di cappelli alessandrina (Spinetta Marengo) il cui mito gravita sulla testa di tutti, nel senso letterario del termine. Il fallimento è alle porte per l’azienda che ha fatto veramente sognare il mondo con i suoi splendidi cappelli sfoggiati anche da personaggi celebri del grande schermo, tra i quali Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in “Casablanca”, Jean Paul Belmondo e Alain Delon in “Borsalino” (il film porta lo stesso nome del cappello, spesso usato dai gangster cinematografici), Roberto Benigni in “Johnny Stecchino”, Harrison Ford in “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”, Marcello Mastroianni in “Otto e mezzo”, Totò e Peppino De Filippo ne “La banda degli onesti”, John Belushi e Dan Aykroyd in “The Blues Brothers”, Cary Grant in “Susanna”, e tanti altri ancora. Poi ci sono collezionisti come Johnny Depp, che lo indossa con disinvoltura nella vita di tutti i giorni. Idem per l’attore inglese Jude Law, per l’attrice italiana Francesca Cavallin e persino per Silvio Berlusconi e altri statisti. Eppure negli ultimi anni la Borsalino ha registrato un calo di vendite e la società che, dal 2015, gestisce il marchio si ritrova con un debito pari a circa trentasei miliardi delle vecchie lire. Il Tribunale ha respinto una richiesta di accordo con le banche, pertanto i centotrenta dipendenti dell’azienda non avranno più un lavoro, e chiuderanno i battenti anche i centocinquanta negozi Borsalino che si trovano un po’ in tutto il mondo. Trovare una soluzione non è di certo facile. Ed è così che, inevitabilmente, sembra scendere il sipario su un prodotto mitico che vanta centosessant’anni di storia. Fu il sarto piemontese Giuseppe Borsalino, nel 1857, a farsi largo nel mondo con i suoi panama e fedora fatti rigorosamente a mano. L’azienda nel più roseo dei suoi periodi aveva duemilacinquecento dipendenti e produceva due milioni di cappelli l’anno. Hollywood e le sue stelle contribuirono notevolmente ad incrementare fascino e fatturato della Borsalino. Dopodichè, verso la fine degli anni Ottanta la società fu venduta e da lì è iniziata la progressiva discesa della fabbrica che è passata da un imprenditore all’altro, fino ad arrivare alla bancarotta. Chiaramente gli ultimi Borsalini sul mercato valgono una fortuna e se i più “economici” costano centonovanta euro, i più costosi raggiungono i duemila euro. Ma la storia, si sa, fa il suo corso. Non c’è bancarotta che tenga. La fabbrica chiuderà pure i battenti, ma il mito resta.