di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
TORINO – Grande affluenza e pubblico estremamente variegato per l’incontro dedicato alla celebre opera leopardiana, segno che avrà pure compiuto duecento anni dalla pubblicazione ma non li dimostra. Io nel pensier mi fingo, questo il titolo dato all’evento organizzato dall’Associazione sambenedettese I luoghi della scrittura che si è tenuto domenica scorsa nella Sala Viola del Salone Internazionale del Libro, l’unico ad aver ottenuto la dignità di pubblicazione sull’edizione del 4 maggio di Tuttolibri. A condurre il dibattito, i filosofi Massimo Cacciari, Giulio Giorello e il critico letterario Piero Dorfles. Unanimemente considerato uno dei più grandi poeti, Giacomo Leopardi ha sicuramente preso spunto dalla filosofia per comporre L’infinito ed è questo l’approccio che i relatori hanno scelto per ricostruire la complessità del pensiero leopardiano. «Una poesia non è come una semplice equazione che puoi risolvere una volta per tutte» ha premesso Cacciari, che insieme a Giorello ha invitato il pubblico a seguirli nella lettura di ogni singolo verso, interrogandosi sul perché della scelta effettuata dal poeta e sul significato che intendeva conferirgli.
«Il poeta esordisce guardando ciò che gli appare davanti agli occhi, presenze reali che può analizzare con calma, sedendo e mirando. Il colle, la siepe, rappresentano ciò che è vero e di cui ha fatto esperienza, ma anche ciò che lo esclude dalla visione dell’ultimo orizzonte.» Uno sguardo che però Cacciari definisce disincantato, perché non è solo quello della scienza e la mente non è soltanto facoltà intellettuale. É anche immaginazione che non si accontenta di stare nei limiti ma si spinge oltre, verso il sublime. E il sublime spaventa, perché è un eccesso, va oltre le facoltà di comprensione e «si ha paura di ciò che non si comprende.» Eppure il viaggio della mente non si ferma, va oltre e la paura, la tensione fra ragione e immaginazione cede il passo alla pacificazione con l’Universo. Ecco perché «Immensità s’annega il pensier mio. E il naufragar m’è dolce in questo mare.» E se la realtà del poeta comprende anche l’immaginazione, allora il suo pessimismo può contenere anche la speranza e spingere l’uomo a cercare coesione con altri uomini, «quello stare insieme auspicato ne La Ginestra.»
«Più che una riflessione, quella del poeta è una confessione» ha obiettato Giorello «L’udire il rumore delle foglie suscita l’immagine della profondissima quiete, rappresenta una nostalgia di pace che Leopardi non trova nei sublimi silenzi e negli interminabili spazi. Il poeta si ribella alla ragione, che fa luce ma non chiarisce tutti i problemi del vivere umano ed è proprio in questo atteggiamento critico che sta il segreto dell’attualità de L’infinito.»
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