di RAFFAELLA CIUFO –
Nello scorso mese di giugno è stato ritrovato a Buenos Aires, grazie all’attività di ricerca svolta dall’organizzazione delle Abuelas – nonne – de Plaza de Mayo, il 130esimo nipote su circa 500 “spariti” insieme ai loro genitori negli anni terribili della violenta dittatura argentina (1976-1983). Javier Darroux Mijalchuk – questo il nome del giovane uomo, ora ricongiuntosi con lo zio materno, che per quarant’anni non ha mai smesso di sperare in un ritrovamento – sapeva di non essere un figlio naturale dei suoi attuali genitori e già da qualche anno ipotizzava, anche per la data della sua adozione, che il suo destino fosse stato il medesimo tracciato per molti bambini, figli di giovani desaparecidos, ovvero oppositori “spariti” del regime instaurato dalla giunta militare, guidata dal generale Jorge Videla. Durante quegli anni di quella feroce dittatura “sparirono” quasi trentamila dissidenti o presunti tali. I sospettati venivano brutalmente arrestati e poi non se ne sapeva più nulla. Spariti, desaparecidos. Dei loro figli, spariti anch’essi, si vociferava che venissero dati in adozione.
Al termine della dittatura fu ricostruita una delle verità più orrende della nostra storia contemporanea: dopo gli arresti e le più atroci torture subite in centri di detenzione, i desaparecidos venivano sedati e poi imbarcati su aerei militari per essere gettati giù, ancora vivi, nelle acque dell’Oceano Atlantico o del Rio de la Plata. La stessa sorte – si scoprì solo nel 2005 – toccò anche ad Azucena Villaflor. Una donna di casa, fino a quei tragici giorni delle ondate sistematiche di arresti. Solo una madre. Una madre, cui avevano strappato via il figlio Néstor, il 30 novembre 1976, senza riuscire a sapere più niente di lui.
Per mesi, alla ricerca disperata di suo figlio, Azucena consumò le sue scarpe e tutte le sue lacrime nei corridoi dei diversi commissariati di Buenos Aires, dove ritrovava come in uno specchio le stesse tante madri afflitte dal suo medesimo dolore. E fu questo, proprio il sentire come forza questo enorme dolore collettivo a trasformarla per improvviso istinto in un’attivista, a darle istintivamente l’impulso di opporre al muro di silenzi la sua sfida coraggiosa: Azucena invitò le altre madri dei commissariati ad unirsi a lei per manifestare pubblicamente la loro protesta, a Plaza de Mayo, proprio davanti la Casa Rosada, la sede del governo.
Al primo appuntamento – il 30 aprile 1977 – si ritrovarono in 14 sotto l’obelisco – denominato Piramide – al centro di Plaza de Mayo. Ma di settimana in settimana, all’appuntamento successivo il numero delle Madres de Plaza de Mayo continuava ad aumentare, rendendo sempre più visibile – anche agli occhi del mondo – quella colonna a doppia fila di donne che, con il fazzoletto bianco in testa quale segno di riconoscimento e una foto dei propri figli fra le mani, camminava per mezz’ora in tondo lungo il perimetro della piazza. Perché erano vietati assembramenti, né si poteva sostare.
Le Locas, le pazze, così con scherno le chiamavano. Eppure, quel loro inesorabile protestare silenzioso divenne talmente assordante che il governo non poté più limitarsi a minacciare e decise che era giunto il momento di sfibrare la loro forza di coesione, attuando “sparizioni”. A partire dalla promotrice del movimento, Azucena. Nonostante la violenza esercitata dal regime, tuttavia, le Madres de Plaza de Mayo non si smembrarono, anzi si rafforzarono tanto che fu fondata ulteriormente un’organizzazione parallela delle Abuelas de Plaza de Mayo, che congiuntamente portarono e portano avanti la silenziosa sfilata dei “fazzoletti bianchi”, ininterrottamente ogni giovedì dalle 15.30 alle ore 16. Ancora oggi, affinché mai si dimentichino le atrocità disumane commesse.
Azucena Villaflor venne arrestata il 9 dicembre 1977 e “sparì” con uno dei cosiddetti voli della morte, ingoiata dalle acque dell’oceano che, però, per un insolito moto di correnti marine ne restituirono il corpo sulle spiagge di Santa Teresita, da cui molti anni dopo attraverso analisi del Dna fu possibile l’accertamento dell’identità dei suoi resti. Per desiderio dei figli di Azucena, le sue ceneri riposano dall’8 dicembre 2005 ai piedi della Piramide de Plaza de Mayo, il bianco obelisco innalzato per commemorare la conquistata indipendenza d’Argentina, ma che – da Azucena in poi – per tutto il mondo è diventato anche simbolo di resistenza e lotta contro ogni violazione dei diritti umani.
Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata