di MASSIMO CONSORTI –
Luca Morini era un genio. Lasciava i tavoli degli hotel a 4 o 5 stelle nei quali pranzava, con avanzi di caviale dopo aver divorato ostriche e bevuto champagne.
Luca Morini era un buongustaio a tutto tondo e talmente ricco che perfino pagare il conto gli faceva schifo, lasciando che a occuparsene fosse il segretario. Soldi veri, però, né carte di credito clonate né scuse accampate all’ultimo minuto, quelle classiche prima della fuga.
Luca Morini amava trascorrere le notti in compagnia di escort milanesi, napoletani e brasiliani per lui erano lo stesso, contavano le dimensioni, quelle sì. Importante, ma ancora di più, l’avvenenza degli escort perché per uno con la trippa, solo i soldi possono convincere un escort, anche disperato, a essere gentile, e devono essere tanti.
Luca Morini però, amava anche trasformare la sua personalità fino ad assumere ruoli che mai si sarebbe sognato di recitare: lobbista in Parlamento, imprenditore di successo, cardiochirurgo della Costa Azzurra e così di seguito fino a interpretare il ruolo che l’occasione richiedeva. Luca Morini amava viaggiare, soprattutto adorava Barcellona (ma anche Londra e Parigi), e la discoteca gay della capitale catalana dove rimorchiava come un ossesso interpretando solo sé stesso.
Luca Morini amava le fotografie, i selfie in particolare, dove poteva slinguare a piacere l’amante di turno ed esibirsi in mini nuotate nella vasca massaggio della Spa, dopo una striscia di white suffle.
Ma Luca Morini sapeva anche recitare, e quando si ritrovava a corto di denaro faceva finta di sentirsi male. Il suo fegato, così provato dallo champagne e dalla cocaina, dava di matto e qualcuno disposto a dargli una mano lo trovava sempre. Barcellona allora arrivava e insieme a lei gli escort, altra coca, altro champagne, altre ostriche e caviale. Luca Morini però è un prete. Qualcuno dirà “non è possibile”, e invece è vero.
Parroco di tre piccole comunità toscane, Fossone, Avenza e Caniparola, don Luca Morini, chiamato affettuosamente dai suoi parrocchiani “Don Euro”, negli anni ne ha combinate di tutti i colori. E non solo con i parrocchiani ai quali chiedeva soldi in continuazione per le campane, i banchi, le vetrate, i portali, le famiglie bisognose e gli orfanelli, ma anche con il vescovo che, hanno scoperto i magistrati, teneva sotto ricatto grazie ai dossier che aveva messo in piedi spiando le vite dei suoi confratelli.
Dopo due anni di indagini, i magistrati le hanno chiuse con una sfilza di accuse da far impallidire Totò Riina (stragi escluse). I reati contestati dal procuratore Aldo Giubilaro e dalla pm Alessandra Conforti che ha condotto tutte le varie fasi dell’inchiesta sono: truffa, autoriciclaggio, appropriazione indebita, cessione di stupefacenti, estorsione nei confronti del vescovo ed estorsione nei confronti di altri soggetti. I carabinieri hanno sequestrato, lo scorso maggio, 700mila euro sul conto corrente di don Luca e altri 150mila investiti in un fondo di diamanti. E questo è quel che resta: spiccioli, dopo la dolce vita e il rastrellamento di elemosina, donazioni, fedi e anelli dei parrocchiani.
Una perla a favore di Don Euro. La Spa di Gubbio che aveva scelto per le sue orge a base di droga e sesso, si chiama “Ai Cappuccini” ed era la stessa che indicava al vescovo come “centro per la cura del fegato”.