di ALCEO LUCIDI –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non c’era la platea che l’ospite di ieri sera avrebbe meritato, alla Palazzina Azzurra, per il decimo appuntamento della rassegna “Incontri con l’autore”, complice il calo brusco delle temperature degli ultimi due giorni. Eppure chi si è intrattenuto assieme ad Ettore Picardi è un autore di spessore: Emanuele Trevi. Uno scrittore autentico, non è una meteora e neanche l’esito di una moda editoriale – come ha ben chiosato il patron delle serate Minuto – ma un riferimento costante ed un concentrato di qualità letterarie ed umane. Partiti da un sonetto di Metastasio, poeta del Settecento, posto nel libro “Sogni e Favole” (Ponte alle Grazie), di cui si è ragionato, Picardi e Trevi hanno conversato piacevolmente, come da amici ritrovatisi da tempo, sul senso della scrittura, il ruolo dello scrittore, il senso del tempo nella finzione narrativa in rapporto alla realtà concreta.
Ne è uscito un bel ritratto del libro ed una riflessione sopra le righe, lieve eppure robusta nella tessitura degli spunti e dei rimandi. Nella storia del libro – un racconto in parte autobiografico dove Trevi ricorda i suoi esordi di scrittore appena ventenne – si incrociano le vite di quattro personaggi, tra cui quella del fotografo statunitense, Arturo Patten, incontrato in una Roma degli anni Ottanta, struggentemente rievocata dal giovane protagonista – non a caso Emanuele – alla chiusura del cineforum da lui tenuto dopo un film di Tarkovskij (Stalker). Sarà nel corso del romanzo per l’alter-ego “treviano” il suo Virgilio e lo introdurrà a grandi personaggi della cultura, come nel caso di Cesare Garboli del quale viene restituito uno splendido cammeo.
Al pari di Metastasio, lo scrittore deve porsi l’obiettivo di riproporre la realtà (non riprodurla) senza accenti retorici, avendo ben presente che, al fondo, tutto è finzione, invenzione, trasformazione immaginifica ed interpretazione soggettiva. «Quando si scrive si vive in un dubbio, una sospensione» afferma Emanuele Trevi ed in effetti ogni storia, ogni romanzo è «una sorta di formazione, di cammino esperenziale che si compie». Per questo non ha senso parlare di opere di formazione, perché ogni autore nei suoi scritti vive una trasformazione, opera dei passaggi psicologici, matura la propria identità artistica.
«Scrivendo mi sento spesso come Pinocchio roso dalle perplessità, – afferma l’autore – infilato in situazioni più grandi di me, stretto tra la voce della coscienza e l’incoscienza di certe scelte impulsive del narratore guidato da una visione inusuale, unica sulle cose». A tal proposito si veda la scena di Piazza Navona dopo le feste natalizie nella Roma classicheggiante, nervata di nostalgia, piovosa ed umbertina echeggiata e “dipinta” delicatamente da Trevi. A sette anni di distanza da “Qualcosa di scritto” – sulla storia di Laura Betti con la quale l’autore ha collaborato a Roma presso l’Archivio “Pasolini” – torna il tono inconfondibile di uno dei più grandi scrittori italiani a ricordarci che, forse, sui sogni e le favole si costruiscono autenticamente le vite di tutti.
Gli incontri, organizzati dall’associazione i “Luoghi della Scrittura” e la “Fabbrica del Fiori”, con il patrocinio del Comune di San Benedetto del Tronto e della Regione Marche, articolati su vari ambienti (Palazzina Azzurra, Paese Alto, Circolo Nautico, Asilo “Merlini”, Palazzo “Vannicola” a Porto d’Ascoli, da quest’anno anche il giardino dell’Istituto delle suore Battistine), proseguono giovedì 11 luglio, con Ludovica Casellati (figlia della presidentessa del Senato della Repubblica) ed il suo “La bici della felicità”. L’ingresso è libero.
Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata