di PGC –
Spoleto – Cinema Sala Pegasus (ex Chiesa di San Lorenzo Illuminatore, XII-XIII secolo), 6 luglio 2019 h20.30 , “Nureyev The White Crow”, un film di Ralph Fiennes
Corvo bianco è un ossimoro, quasi non esiste in natura, il corvo è nero per definizione. E ha una cattiva reputazione. Anche per Fabrizio de Andrè, che di fantasia ne aveva, è nero il corvo che rassomiglia alle nuvole nere che vanno… vengono… ogni tanto si fermano…, e anche quando – le nuvole – certe volte sono bianche… e corrono… e prendono la forma dell’airone o della pecora… o di qualche altra bestia… mai rassomigliano a un corvo bianco. É solo nel mito che il corvo una volta era di piumaggio bianco, ma Apollo – un dio fetente come pochi – lo punì per la sua disobbedienza. Non ricordo bene la faccenda, pare non volesse stare alle regole, fissato com’era di libertà. Fatto sta che Apollo, che gli bastava molto meno, lo fece nero. Veramente… ci sarebbe il Corvo Bianco di Salaparuta: ma qui voliamo basso, si tratta di un celebre vino.
Resta Rudolf Nureyev, il Corvo Bianco può essere solo lui. Vola su Spoleto nei giorni del Festival: che non se ne cura affatto, nel programma non c’è. Sicchè lui – Corvo Bianco non per niente – compie un blitz col suo film proprio nel centralissimo Cinema Pegasus, poche ore prima dell’incontro dove a lungo si parlerà della sua quasi contemporanea grande “collega” Pina Bausch. La classicità dell’uno è altra cosa rispetto al rivoluzionario teatro-danza dell’altra, ma poichè Nureyev non era un commercialista, nè un fuochista della Transiberiana (anche se c’era nato, sul treno per Vladivostok…) ed è pur sempre del ramo, se Leonetta Bentivoglio e Lutz Förster l’avessero solo nominato, direttore-Giorgio Ferrara li avrebbe forse cacciati? (schizofrenie festivaliere, capirle è come cercar di capire che c’entrasse il vincitore di Sanremo con la Spoleto dei 2Mondi…)
Il film. Non so niente di cinema né di danza e balletti russi, ma penso che più che il racconto della vita e del carattere di Nureyev questo film sia un faro su un periodo storico quasi recente, drammatico e buio. La regia privilegia il bianco e nero per descrivere – a suo modo – la Russia anni ’40-’60 del grande inverno sovietico: paesaggi di case basse piantate nel fango solido, geometriche periferie senza smalto (le kommunalki), città grigie dalle architetture del potere solenni e arroganti, carcerarie fabbriche, atmosfere oppressive e senza sorriso, anche quelle delle famiglie affollate. Posti da torvi corvi neri.
Invece è proprio da lì che svetta d’improvviso un Corvo Bianco. Un ragazzino esile, ma più intelligente, più bravo e perfezionista, più studioso, più ambizioso, più diverso. Quegli ambienti opachi, scontrosi e senza futuro li respinge subito bombardandoli con gli occhi, e li abbandona senza rimpianti. Ne cerca altri “fuori”, nell’Occidente proibito. Intuitane l’esistenza, li conquista col talento e la volontà, li rivoluziona col suo “mestiere” di rivoluzionario ballerino-drammatico: la sua danza non è ginnastica ma letteratura, la sua vita è oltre il successo, oltre la “libertà minima”, oltre gli amori, oltre l’arte. Va controvento, con le ali ai piedi. Lo adorano, pochi lo amano. Solo lui è e fa così, solo lui chiamano “Corvo Bianco”.
Il film è come lui. Non indugia sui fatti, non racconta con ordine stanco. Salta. Muta velocità. Va… viene… ogni tanto si ferma… corre… Gli ambienti statici da “Guerra Fredda” incrociano i dinamismi e le luccicanze parigine, il colore della neve non è sempre monotono, la Cortina di Ferro non può esistere nei teatri e negli aeroporti, le assurde regole si superano con un salto, con una piroetta, con un ”NO”: le facce da spia del KGB possono perdere. Sono continui momenti sospesi: il montaggio, audace come un balletto. Il mondo della danza, mai scivolando in secondo piano, cede tuttavia il protagonismo alla ribellione istintiva, alla voglia estrema di libertà senza confini, alla politica. Nureyev, “il tartaro volante”, fa quasi un ’68 per conto suo, usando con spregiudicatezza la sua commovente solitudine. E con pieno successo.
L’altro stupefacente contrasto: il film proiettato (fuori Festival) nell’affettuosa ex chiesa romanica sconsacrata che da due secoli non vede messa. 78 poltroncine di velluto rosso sotto affreschi del ‘500, mezzi-altari di travertino grezzo (ma quasi di design), vetuste capriate di legno ben restaurate, il calore giusto delle massicce mura di pietra squadrate. Sotto lo schermo, un salottino con un coda nero Steinway & Sons: per concerti, incontri, conferenze, dibattiti. (Domani si parlerà di Pina Bausch).
Anche quest’ex chiesetta di San Lorenzo “illuminatore” (appunto) è un Corvo Bianco. L’afa di Spoleto resta chiusa fuori, con il suo Festivalone dei 2Mondi. Comprese le imponenti BMW-dai-vetri-scuri (proprio stridenti, con Spoleto, e neanche specie in estinzione): quelle dello sponsor ufficiale, che nella piazzetta vanno… vengono… ogni tanto si fermano… Normali corvi neri. Metallizzati.
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