di MASSIMO CONSORTI –
Prima del suo avvento nel mercato del low cost, chi avrebbe mai pensato di poter arredare con tutti i comfort possibili 30 metri quadrati di monolocale trasformandoli in una casa? E non si tratta solo di disporre mobili alla rinfusa, ma di dare un ordine compiuto al concetto di arredamento. La sua, quella di Ingvar Kamprad, fondatore dell’Ikea è stata una vera e propria rivoluzione culturale che, partendo dai mobili, ha investito il concetto molto più complesso dell’abitare. Essenziale? Francescano? Quattro linee e un segmento? Il suo grande merito si chiama sobrietà, la stessa che si ritrova anche negli orrendi candelabri e nei cestini centrotavolo d’acciaio che pure tutti abbiamo, anche se per poco tempo, posseduto.
Kamprad è morto a 91 anni dopo aver predicato per una vita un solo concetto “Se pratico il lusso non posso predicare il risparmio” e in quanto a risparmio, il signor Ingvar non era secondo a nessuno.
Noto “braccino corto anzi cortissimo”, ha lasciato ai tre figli una eredità di 33 miliardi di dollari, 11 a testa (e secondo noi lo ha fatto apposta per non farli litigare), un impero di 190 mila dipendenti e un giro annuale d’affari di 38 miliardi di dollari. Presente con il suo marchio, e i suoi centri vendita, in quasi tutti i paesi del mondo, Ikea è il simbolo del risparmio possibile in un contesto che privilegia più lo spreco che il riciclo, più l’ostentazione della sostanza.
In una recente intervista, Ingvar Kamprad ha detto: “Mi ha sempre mosso la voglia di fare economia risparmiando. Io mi vesto solo comprando usato, se possibile al mercato delle pulci”. In quell’occasione l’imprenditore spiegava anche la sua scelta di tornare a vivere in Svezia dopo un lungo soggiorno in Svizzera per ragioni fiscali. “L’ammontare delle tasse non è tutto, alla fine mi sono detto che conta più vivere a casa, tra gli amici con cui sono cresciuto da ragazzo e poi da giovane adulto, e i dipendenti che sono come una famiglia-azienda”.
Nella sua vita solo due ombre, la prima: nel passato aveva fatto parlare di sé per i suoi legami con il movimento giovanile nazista durante la Seconda Guerra mondiale. Simpatia che poi lui stigmatizzò in seguito come “la follia della giovinezza” e “il più grande errore della mia vita”.
La seconda, l’aver sfruttato lavoro minorile in alcune fabbriche fornitrici di Ikea nei paesi del Terzo Mondo.
Per il resto, l’uomo che a 17 anni fondò Ikea partendo da un laboratorio dove produceva i fiammiferi, è sempre stato un imprenditore low profile. Se poi avesse un Rolex in cassaforte è un fatto che non ci riguarda.