di PGC (PIER GIORGIO CAMAIONI) –
“RIVERBERI” – Giuseppe Franchellucci Violoncello Solo
FERMO – Terminal Mario Dondero, sab 18 gennaio 2020 h 18, tam VIOLONCELLO FOTOGRAFICO (foto di Andrea Del Zozzo)
Non lo vediamo, ma al concerto stasera c’è anche Mario Dondero. Figurati se manca, nella “sua” Fermo, nel “suo” Terminal, invisibile ma presente come in ognuna delle sue 80 foto-reportage di vita ordinaria nel mondo “ritrovate” – ma “segnate” da lui stesso – ben allineate sulla parete di mattoni lunga. Chissà, potrebbe essersi istintivamente nascosto “dentro” quel gruppetto di laboriosi fotografi; tra le file del pubblico (la macchina fotografica sotto la giacca); tra i rari passanti che dall’esterno sbirciano attraverso le magrissime finestre; dietro l’isola curva dell’ingresso, ad osservare non visto chi entra, e magari a fotografarlo… O forse è lui che si diverte laggiù a creare quegli improvvisi rumori d’ambiente – scricchiolii, imbarazzati colpi di tosse, porte o portiere di auto che si aprono/si chiudono – cioè quei “riverberi di scena”… che stasera servono. Insomma Dondero qua c’è di sicuro, ma non cercatelo. Potrebbe, ed è più probabile, che stia proprio “dentro” il violoncello di Giuseppe Franchellucci. Lo si sente.
Franchellucci e (è) il violoncello. Che lui suona “interagendo e giocando” con il riverbero non trattato di questo originalissimo spazio minimalista, con un’acustica che non è quella di un teatro, ma qui non è un difetto. Perfino il ronzio dell’aria condizionata dentro il lungo tubo sopra le foto si integra a quella sorprendente musica-non-musica. Musica non scritta e non letta. Improvvisata. Fantasiosa. Ardita. E ovviamente preparata, calcolata, studiata, sperimentata. Le dissonanze mai stridenti al posto delle armonie, gli arpeggi saltanti, senza gabbie melodiche: non-suoni di vario registro, mai rumori.
Musica destrutturata, in fuga dai calcoli matematici della classica prevedibilità, non cantabile, più jazz del jazz, più contemporanea del futuro. Quasi sempre senza cadenza né ritmo. Successione di note isolate, anche in acrobazia, vaganti, stirate, striscianti, da meditative a descrittive. Come musica di viaggio per strade poco trafficate, che partono e arrivano in terminal sperduti più finlandesi o canadesi che mediterranei.
Non sai precisare quello che senti, ma immagini paesaggi piatti di laghi con poco vento, o di fiordi nebbiosi, silenzi di ultrasuoni e luci boreali: come quelle, involontarie, che qui in alto si autoproiettano sullo spoglio fondale senza quinte, balletto sospeso di artiche ombre cinesi. Melodie senza melodia. Dalle quattro corde Franchellucci estrae l’anima buona e meno buona, prendendole in ogni maniera, anche a schiaffi (non con l’archetto) fino a quando la corda tocca il legno, e ne escono brividi di frequenze che serpeggiano ed evaporano tra il pubblico disposto per lungo, come in un treno – autobus – aereo, alla cui guida c’è Franchellucci. Toh, finestre solo da un lato… ma siamo ancora al terminal – “luogo di arrivi e partenze”, non staremo mica fermi a Fermo…
Concerto per violoncello-solo, da ascoltare guardandolo: fiamme di musica immaginifica, multicolore e amichevole, per una volta liberata dall’impiccio di altri strumenti, inventata e prodotta senza tecnicismi, fotografando solo i pensieri, propri e di chi ascolta. Con la complicità di Dondero e di “Riverberi” in libertà, cosa può combinare un violoncello “marca” Franchellucci!
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