di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Una lectio magistralis sul giornalismo quella tenuta dal vicedirettore di Repubblica Sergio Rizzo ieri sera, venerdì 31 gennaio, presso la Sala Congressi dell’Hotel Villa Corallo di San Benedetto del Tronto, in occasione della consegna del Premio Novemi Traini, evento organizzato dall’associazione Genius Loci in collaborazione con Mimmo Minuto e I luoghi della scrittura. Quello della memoria è il tema dei temi e l’ultimo libro di Sergio Rizzo “La memoria del criceto” (Feltrinelli) è un condensato di duecento pagine di amnesie, analizzate ripercorse e descritte fin nei minimi dettagli, corredate di date, nomi, luoghi, riferimenti precisi. Un lavoro molto accurato che è anche il tentativo di scuotere le nostre coscienze.
Il libro si apre con un omaggio a Pasolini, per il quale “l’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo“ e una citazione di Montanelli “Un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere domani”. Siamo un popolo che non sa o che non vuole ricordare?
Non volendolo ricordare, non fa nessuno sforzo per andarlo a ripescare nella memoria. È molto utile, consente di ricominciare, di fare gli stessi errori e poi proporre rimedi. La politica vive di promesse mai mantenute, perciò quella di dimenticare le cose è una scappatoia meravigliosa. E se poi qualcuno gliele ricorda, allora fa finta che non siano andate come effettivamente è stato.
Lei inizia il suo viaggio analizzando quello che forse è il primo anello debole della catena: la scuola. Una professoressa di Perugia, commentando il celebre testo di Italo Calvino “L’apologia sull’onestà”, ha pubblicato sui social un post che è divenuto virale: «Un Paese che distrugge la scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.» Cosa ne pensa?
È proprio così. Aggiungiamo che questo è un Paese di vecchi, perciò il core business non sono i giovani ma gli anziani, la spesa per le pensioni è arrivata al 40% della spesa pubblica mentre la spesa per istruzione è scesa fino all’8%. È un paese che disinveste per i giovani.
Chiunque vada al Governo, cancella quanto fatto dal precedente e così l’alternanza politica diventa un continuo esercizio di smontaggio e rimontaggio. É questa la ragione per cui non si è mai riusciti a varare una riforma costituzionale?
Accade di continuo. Faccio solo qualche esempio. Il Ministero dei beni culturali aveva tra le sue competenze anche il turismo: il primo governo Conte l’ha trasferito al Ministero delle politiche agricole, ma il Conte 2, proprio mentre venivano definiti i decreti attuativi del trasferimento, l’ha ricondotto al Ministero dei beni culturali. Per inciso, il Ministero dell’agricoltura noi l’avevamo abrogato anni fa con apposito referendum. Per quanto riguarda la pubblica istruzione, si era deciso di togliere la storia dai temi della maturità scolastica, ora dopo neanche sei mesi è stata reinserita. Il primo governo Conte aveva rimosso Ruffini dai vertici dell’agenzia delle entrate nominando il Generale della Guardia di finanza Maggiore, ma il Conte 2 ha rinominato Ruffini.
La sua è un’analisi molto critica della situazione giustizia in Italia partendo da alcune considerazioni, tra cui il numero spropositato di avvocati. É nostra la responsabilità dei biblici tempi processuali?
Se il sistema fosse studiato e disciplinato in maniera da ridurre al minimo la litigiosità, il carico giudiziario sarebbe più leggero. A questo va aggiunta la massiccia presenza di avvocati in Parlamento, appartenenti peraltro a entrambi gli schieramenti politici, e la mancanza di una legge che disciplini seriamente il conflitto di interessi a cui vanno incontro coloro che esercitano una determinata professione eppure entrano in politica. Penso ai magistrati.
Una delle ossessioni del criceto è la corruzione. Riusciremo a liberarcene?
Gherardo Colombo diceva che Mani Pulite a un certo punto è finita perché i cittadini hanno capito che se si fosse andati avanti, si sarebbe arrivati anche a loro. La corruzione, il cercare sempre la conoscenza, l’aggancio, quella mentalità radicata per cui anche per esercitare un diritto siamo costretti a chiedere un favore, è come una metastasi che ci consuma da dentro, finché non cambiamo modo di ragionare non ci libereremo neppure della corruzione.
Tutti gridano “Fuori i partiti dalla Rai” e “Privatizziamola”. Cosa è successo negli anni, cosa è cambiato e cosa prevede che accadrà?
Questa è una vicenda assurda. La privatizzazione della Rai è stata già decisa con il referendum del 1995. La legge Gasparri del 2004 stabiliva che entro 120 giorni dovesse essere addirittura quotata in borsa. Siamo nel 2020 e ancora i partiti sono lì a discutere se la Rai debba o meno rimanere pubblica.
La colpa è degli immigrati, dell’Europa… non è mai colpa nostra. Perché siamo così restii ad assumerci responsabilità?
Una cosa è certa: senza l’Europa non staremmo meglio. Pensiamo anche solo alla possibilità di far circolare le merci senza pagare dazi. Stare in Europa costa sacrifici ma concede anche benefici. Il guaio è che non sappiamo neppure usare i fondi europei, preferiamo finanziarci i convegni e le sagre di paese piuttosto che la costruzione di una rete metropolitana.
Altro tema spinoso è la questione dei vitalizi, qualcosa che puntualmente esce dalla porta e rientra dalla finestra. Perché?
La cosa avvilente è che alla politica interessa farsi belli con l’opinione pubblica e portare a casa consensi, ma le cose importanti non le fanno mai. Pensiamo alla questione dei contributi figurativi che vengono versati a tutti quelli che lasciano momentaneamente il proprio lavoro per entrare in Parlamento, dopo cinque anni hanno maturato un vitalizio e al tempo stesso hanno maturato la pensione relativa al precedente lavoro anche per gli anni che non l’hanno svolto. Ci sono oltre millequattrocento ex parlamentari che hanno più di una pensione.
Dedica un capitolo alla vicenda di Carola Rackete. Perché secondo lei ha spaccato in due l’opinione pubblica?
Perché comunque la si pensi nel merito della questione, Carola è una ragazza di trent’anni che si è assunta una responsabilità e pure grossa e in un Paese in cui la politica non lo fa mai.
Noi siamo un Paese che si innamora facilmente dei condottieri forti. Perché?
La risposta va ricercata nel passato. Questo è un Paese che non ha mai fatto i conti con il fascismo. Alla fine della seconda guerra mondiale tutto il blocco del potere fascista è transitato ai vertici della democrazia. Qualche esempio? Marcello Guida, commissario di polizia e direttore del carcere di Ventotene dove venivano rinchiusi gli oppositori al regime (ivi incluso Sandro Pertini), caduto il fascismo beneficiò dell’amnistia Togliatti e non solo rimase in Polizia, ma fece carriera. Era lui il questore di Milano all’epoca della strage di Piazza Fontana, e fu proprio lì a depistare le indagini indirizzandole contro gli anarchici, ed è ancora lui coinvolto nel defenestramento dell’anarchico Giuseppe Pinelli dagli uffici della Polizia. Gaetano Azzariti, magistrato, aderì al manifesto fascista ed ebbe un ruolo fondamentale nella promulgazione delle leggi razziali, tanto che fu nominato Presidente del Tribunale della razza e capogabinetto di Rocco, con cui scrisse il Codice penale: ebbene, all’indomani della caduta della dittatura, il 26 luglio 1943 entra a far parte del governo Badoglio e ne diventa Ministro della giustizia, nel 1957 verrà addirittura nominato Presidente della Corte costituzionale. Ecco, i conti con il fascismo li abbiamo fatti così, ce lo siamo portati dietro e dentro in tutti questi anni. Come si fa a stupirsi del rigurgito antisemita dei giorni nostri?
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