Silvia Romano, qualcuno facile da odiare

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE)

La valanga di melma (social e non solo) che si sta riversando contro Silvia Romano in queste ore è incredibile. Insulti, minacce di morte, video e fotografie intenzionalmente contraffatte per gettarle addosso fango e fatte circolare per esporla al pubblico ludibrio. Cocci di vetro lanciati contro le finestre della sua casa a Milano. Politici che per ruolo dovrebbero controllare il proprio linguaggio e che invece pronunciano parole di odio anche nelle sedi istituzionali. E le fake news si susseguono. «Ci è costata quaranta milioni», «É incinta e si è sposata in gran segreto con un terrorista», «É venuta in Italia a compiere una missione terroristica». Ma che cosa ha fatto questa ragazza per meritare tutto questo?

Silvia ha venticinque anni e una Laurea in Mediazione linguistica per la sicurezza con una tesi sulla tratta degli esseri umani. È partita per la Somalia anni fa con la onlus marchigiana Africa Milele con l’obiettivo di portare avanti il progetto di costruire una Casa orfanatrofio per bambini rimasti soli. È andata ad “aiutarli a casa loro”, avevo capito che fosse questa l’alternativa predicata da chi vorrebbe i nostri porti chiusi. Mi sembra lodevole che una giovane si preoccupi degli ultimi della Terra, anziché passare le serate a sbronzarsi come tanti suoi coetanei. Sbaglio?

Non entrerò nel merito di chi siano i responsabili e di cosa sia stato fatto per ottenere il rilascio, ci penserà la magistratura ad accertarlo. Rimane il fatto che la ragazza è rimasta un anno e mezzo in balia di terroristi armati. Io vado in panico se rimango cinque minuti bloccata da sola nell’ascensore, non oso immaginare cosa possa aver vissuto lei. Chissà le notti passate a piangere, la paura di subire violenza, la nostalgia di casa e della famiglia. Chissà se ha temuto di morire. Se fosse tornata in una bara, avvolta nel tricolore, avremmo assistito a una sfilata di personalità per renderle omaggio. Invece è tornata sulle sue gambe e, per giunta, avvolta in una veste islamica. Se fosse partita musulmana, o atea, e si fosse convertita al cattolicesimo in Africa, avrebbero gridato al miracolo. Avrebbero scritto che il male non sempre viene per nuocere e tutto accade per uno scopo nel misterioso disegno divino. Nessuno si domanda quali responsabilità possa avere la onlus che l’ha mandata da sola, allo sbaraglio, in Somalia, senza alcuna forma di protezione. Nessuno prova a immaginare la condizione psicologica in cui si è trovata durante la prigionia. Forse, per salvarsi dall’angoscia, la conversione le è sembrata l’unica possibilità.

Turisti, cooperanti, commercianti, sacerdoti, medici, dall’Iraq alla Somalia, dalla Siria all’Algeria, l’elenco degli italiani sequestrati all’estero è lungo. Alcuni sono stati uccisi, alcuni sono stati liberati, altri sono tuttora in mano ai rapitori. Tutti i Paesi del mondo si adoperano per liberare i propri connazionali, negoziano, trattano, scambiano, pagano. Lo ha fatto anche l’Italia. Daniele Mastrogiacomo, Sergio Zanotti, Luca Tacchetto, Alessandro Sandrini e tanti altri ancora. Anche loro si sono convertiti all’Islam durante la prigionia. Ma sono uomini, perciò va bene. E poi sono vittime dei rapitori, e quelli che non ce l’hanno fatta sono eroi. Poco importa se si trovavano in quel territorio per turismo, per lavoro, per proteggere aziende straniere. Invece le donne sono irresponsabili, sono complici dei delinquenti, sono poco di buono e, se erano andate ad aiutare le popolazioni più povere, se la sono cercata.

Un recente sondaggio ha rivelato che per due donne su tre ciò che conta nella vita è sposarsi e avere figli. Ecco, Silvia non corrisponde a questo tradizionale modello di donna. Ha scelto liberamente di andare in Africa e di dedicare la sua vita ad aiutare gli ultimi. Gli odiatori sono dei frustrati. Nel sorriso mostrato ai fotografi e alle telecamere appena scesa dall’aereo, dopo tutto e nonostante tutto, si nasconde la voglia di Silvia di cambiare il mondo e questo scatena negli odiatori rabbia e invidia. Perché come diceva Umberto Eco, “ci vuole sempre qualcuno da odiare per essere giustificati nella propria miseria”.

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