di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Le dinamiche di gruppo sono sempre state, storicamente, fonte di studio, riflessioni e strategie. Ci interessa vedere, in questo caso, in che modo possono influenzare opinioni e coerenza, raccontando un test realizzato negli anni ’60. In pratica, se noi facessimo parte di un piccolo gruppo al quale viene rivolto un semplice quesito dall’ovvia risposta, siamo certi che daremmo la risposta giusta, conoscendola senza dubbio alcuno? Non si stupisca il lettore, convinto delle proprie valutazioni che mai svenderebbe, se nell’esperimento sociale, che ora racconterò, le cose sono andate molto diversamente. Comunque la si pensi, è interessante conoscere la dinamica del test, realizzato con diverse varianti. L’ideatore è lo psicologo sociale Solomon Asch, americano di origine polacca, appassionato di antropologia culturale e dinamiche sociali. Studiò a lungo come queste ultime influissero sul nostro comportamento, ovvero, in che misura noi ci lasciamo conformare, nonostante le nostre certezze.
Asch formò un gruppo con degli studenti volontari, intorno a 8 o 9 unità. Mostrò loro due fogli, in uno c’era una sola linea, nell’altro tre, nominate A, B e C. Solo una di queste era uguale a quella singola dell’altro foglio. I ragazzi, in successione, dovevano fornire la risposta indicando la linea di uguale lunghezza. Tale risposta era evidente e facile da identificare senza dover ricorrere ad un righello. Dei nove studenti, otto erano stati preparati per dare tutti la stessa risposta sbagliata e la fornivano prima dell’unico che non sapeva nulla del piccolo inganno a scopo esperimentativo. Ora, facciamo finta di essere noi quel nono, con la certezza che diremo il giusto quando sarà il nostro turno. La linea corretta nel grafico è la C. Sentiremo che il primo sbaglia, indicando, ad esempio, la A, il secondo pure e cominceremo a pensare che stiamo in mezzo a dei cretini. Il terzo, il quarto, il quinto diranno anch’essi che la linea giusta è la A. Noi siamo sempre lì, con la nostra incrollabile certezza della giusta risposta: la C. Anche il sesto, poi il settimo, infine l’ottavo, tutti daranno la medesima risposta, dicendo che la linea corretta è la A. Tocca a noi. Siamo sempre convinti della C, del resto è palese, tuttavia, stando all’esperimento, è possibile che finiremo con il pronunciare A, magari a mezza voce, rinnegando la nostra logica. Cosa è successo?
Asch fece questo esperimento molte volte, quasi una ventina, con risultati simili nel 75% dei casi. Qualora lo studente 9 abbia una struttura psicologica un po’ fragile, con scarsa autostima, è logico supporre che finirà con il dubitare di se stesso. La cosa strana però è che anche ragazzi dalla personalità più forte, con buona sicurezza, finivano con il conformarsi. Il professore parlò poi in disparte con i vari “ragazzi 9” e, in buona sostanza, la maggior parte raccontava che preferiva conformarsi al gruppo perché, forse inconsciamente, temeva una sorta di “esclusione”. Gli studenti preferivano non essere la voce stonata e sentirsi inseriti e accettati. Precisiamo che siamo negli anni ’60. I contesti storico-culturali e antropologici erano diversi, con minore individualismo di oggi, probabilmente. L’appartenenza al gruppo veniva vista come cosa prioritaria. Comunque, un buon 25% dei ragazzi n.9 restava coerente, nonostante il peso della maggioranza.
Allo psicologo non bastava questo test e introdusse delle varianti, modificando il corso delle cose. Nell’esperimento successivo mise a metà della fila, al quarto posto, un partecipante che avrebbe dato la risposta giusta. In questo caso, il nostro ragazzo n.9 quasi sempre manteneva fede alla propria visione, fornendo anch’egli la risposta corretta. Quindi, non necessariamente la maggioranza fa “peso” se ci sentiamo solidali almeno con un altro membro. In una terza versione, Asch mise ancora una voce dissonante con la maggioranza ma fornendo anch’essa una risposta sbagliata. In pratica, sette ragazzi dicevano A, mentre quello al centro diceva B. Lo scopo era vedere se, con maggioranza spezzata ma senza atteggiamento solidale, il nostro n.9 fosse coerente con se stesso, fornendo la risposta giusta, la C.
In questa terza versione lo psicologo ottenne risposte diverse, non così omogenee come nei casi precedenti: molto dipendeva dalla personalità dello studente. Come andrebbe se questi esperimenti fossero ripetuti oggi, in tempi di social, di selfie e di bisogno dilagante di “apparire”? Sarebbe interessante. Probabilmente otterremmo percentuali diverse ma credo che, soprattutto nella prima versione dell’esperimento, continueremmo a vedere una discreta percentuale di persone che, deliberatamente, risponderebbero uniformandosi agli altri. La forza del gruppo tende sempre o spesso a prevalere. Non è rassicurante, forse non è “giusto”, ma è quello che accade. Sociologi, politici, antropologi ed esperti di marketing lo sanno bene.
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