di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando ho detto a mia madre che avrei intervistato Luca Bianchini, mi ha detto sorridendo: «Salutamelo tanto!» quasi fosse un amico di famiglia anche se, in realtà, lo conosce solo attraverso i libri. Perché leggere un romanzo di Luca Bianchini è come aprirgli la porta di casa, farlo accomodare a tavola senza dover tirare fuori il servizio buono perché lui non ama la finzione e non indossa maschere, parlare e mostrarsi coi propri pregi e difetti perché lui non è uno che giudica, non è alla ricerca di eroi, perché nessuno dei suoi personaggi è del tutto buono o del tutto cattivo e poi Luca è ironico, sa ridere anche di sé. Autore di best seller diventati anche film di successo, torna in libreria con Baci da Polignano (ed. Mondadori) attesissimo sequel di Io che amo solo te, la storia di Ninella, cinquant’anni e una figlia che decide di sposare il figlio di don Mimì, il grande amore della sua vita con cui però non si è potuta sposare.
Com’è stato dopo sette anni tornare da Ninella e don Mimì?
Per la verità, non pensavo che avrei scritto la continua (si dice così “sequel” in pugliese, sai?) di un mio romanzo. C’è sempre la paura di non essere all’altezza delle aspettative dei lettori che hanno tanto amato il precedente. In questi anni, però, sono tornato spesso in Puglia e mi è capitato di incontrare gente che mi chiedeva di loro. Una storia d’amore fuori dagli schemi che è entrata nel cuore delle persone di ogni età, anche giovanissimi.
Da dove prende le mosse il nuovo capitolo della storia?
Oggi don Mimì è tornato libero, sua moglie Matilde che tanto ha bistrattato si è innamorata di Pasqualino, il tuttofare di famiglia, e vuole separarsi. Lui pensa di poter tornare alla carica con Ninella, che però ha altri interessi e che comunque non è donna che accetta di essere la seconda scelta. Intorno a loro si muovono le storie di altri personaggi, come Chiara e Damiano con la loro figlia che li comanda a bacchetta, Nancy che sogna di diventare la prima influencer di Polignano, o come la zia Dora venuta dal Veneto per una questione ereditaria.
Leggere “Baci da Polignano” è come passeggiare tra i vicoli, incontrare le persone, sentire il profumo della cucina, ammirare i colori del mare. L’hai scritto sul posto?
Per la verità, no. In questi anni sono tornato spesso in Puglia, ho preso appunti, raccolto aneddoti, fatto ricerche accurate, anche grazie all’aiuto dei miei collaboratori, ma poi per scrivere ho bisogno di allontanarmi. Quando posso cerco di scrivere in posti che abbiano una bella vista, magari vicino al mare, adoro avere lo sciabordio delle onde come sottofondo.
Nei tuoi romanzi c’è sempre spazio per la musica. É quella che ascolti mentre scrivi?
In parte, ma non solo. Quando sono a casa uso come sottofondo musica malinconica, classica o pop. Mi aiuta a concentrarmi. Anche di autori sconosciuti, o molto datati. Hai presente quei cd che vendono negli Autogrill a quattro euro, ti domandi mai chi è che compra quella musica? Ecco, quei cd li compro io.
“Baci da Polignano” era pronto per l’uscita prima che scoppiasse la pandemia. Ne è risultato in qualche modo condizionato?
In realtà, contiene tutto ciò che per via del Covid era vietato, a cominciare dai baci del titolo. Assembramenti, incontri in chiesa, c’è perfino un aperitivo sui Navigli. Il libro era pronto già a febbraio, ma non ho voluto apportate modifiche, mi piaceva così, e poi i libri servono anche a portare un po’ di leggerezza nei momenti difficili.
Le tue storie diventano sempre più spesso film di successo. Prendi parte alla stesura della sceneggiatura, alla selezione del cast?
Non ho particolari velleità cinematografiche, amo scrivere e il mio desiderio più grande è che le persone leggano i miei libri, se poi diventano o meno un film è una questione secondaria. Il mondo del cinema, poi, è diverso e qualche volta l’autore deve cedere nella stesura della sceneggiatura, sulla scelta delle location, o degli attori. Non è facile per uno come me che ha bisogno di mantenere il controllo in ogni situazione, ma è comunque una grande soddisfazione.
Sei molto attivo sui social, hai anche inventato un tipo di intervista diventata oramai un appuntamento fisso. Com’è nata l’idea delle “Cinquanta domande secche”?
Per caso, durante la quarantena. Una sera mi ha chiamato Emma, ero in pigiama, che imbarazzo! Ci siamo messi a chiacchierare e mi è venuta l’idea di un’intervista in diretta con uno schema diverso: cinquanta domande a cui dare una risposta secca. Dopo Emma ci sono state Federica Pellegrini, Rocco Siffredi, Jovanotti, Gianni Morandi, Giorgia e tanti altri. Vorrei provare a chiamare Vasco, chissà se accetta.
Voglio anch’io farti cinque domande a risposta secca. Cosa avresti fatto nella vita se non avessi fatto lo scrittore?
Probabilmente il giornalista.
Tra i tanti libri che hai letto ce n’è uno che ti ha fatto esclamare “questo avrei voluto scriverlo io”?
“I promessi sposi”. Fra i contemporanei, “Pastorale americana” di Philip Roth.
Il personaggio che ti piacerebbe interpretare se diventasse un film?
Daniele, protagonista del mio primo romanzo Instant love.
E quello che hai più odiato?
Nessuno, li amo tutti, anche quelli un po’ antipatici. Ho imparato a voler bene anche ai difetti delle persone. E poi tutti a volte siamo antipatici, magari neanche ce ne rendiamo conto. Anche i buoni hanno il loro momento di cattiveria.
Il complimento più bello che ti hanno fatto?
Ricordo un articolo molto bello di Bruno Quaranta su La Stampa. E poi il messaggio di Laura Pausini “tutta la mia famiglia ti legge”. I critici più severi sono i miei amici, perciò quando mi fanno un complimento ne sono particolarmente felice.
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