di SARA DI GIUSEPPE –
Civitanova Danza 2020, Monica Casadei / Artemis Danza
I BISLACCHI omaggio a Fellini
Teatro Rossini – Civitanova Marche, 11 Agosto 2020, h 21.30
“La vità è un circo”… Così diceva Fellini, ed oggi è la danza a farsi circense, nell’omaggio di una coreografia sapiente all’ineguagliato “poeta del cinema e del circo”. Si veste degli arabeschi della danza e dell’eleganza dei corpi quest’universo felliniano che il tessuto musicale – le armonie di Nino Rota – frammenta nel colorato esplodere di quadri in movimento. Narrazione in cui il reale, il fantastico, l’onirico convergono e paiono essere tutt’uno con quel circo che è la vita, di cui sembriamo noi stessi i clown, goffi o disinvolti, allegri o disperati. E zampilla d’irriverente ironia, la danza, trascolora dalla sensualità al dramma all’elegia, ricompone e ricrea scenari e atmosfere, figure e trame di intramontate favole felliniane.
La “spudorata voglia di raccontare” da cui nasceva quel cinema si esalta nella lingua di una danza che di quella narrazione ricrea il barocco, la coralità, il vitalismo: quella visione del mondo, insomma, che in Fellini era soprattutto sguardo interiore. Ed ecco gli scampoli di storie sciorinati sul labile confine tra realtà e sogno, drappeggiati nei colori e nei suoni di un danzare fastoso che all’eleganza dei corpi unisce la talentuosa espressività di mimi dei sei danzatori.
Qui sentiamo che è forse, la danza, la forma di ricomposizione del pianeta felliniano che meglio si avvicina – nella leggerezza, nella poesia, nella visionaria creatività – all’immaginario geniale del regista, a quella sua certezza che se anche “siamo fatti della sostanza di cui son fatti sogni”, è pur vero che “ È una festa, la vita ” come dice Guido/Snaporaz in Fellini 8⅟₂ .
Di quella “festa”, il circo è componente centrale. “Presepi alla rovescia”, i circhi, arabeschi di meraviglie e sarabanda di “bislacchi”: creature stravaganti, artisti improbabili, donne bellissime e maghi. E di clowns, soprattutto – emblema della duplicità della natura umana – che l’immaginario felliniano tramuta in arte e incolla indelebili al cuore di ognuno: come l’elegia del “minicirco zingaresco” di Gelsomina, di Zampanò, del Matto, di quegli universi di solitudini e di silenzio che la grazia della danza disegna e sublima.
Con la stessa forza evocativa delle sensuali atmosfere della prima parte, i danzatori si fanno clowns, e mimi e macchiette straordinarie, per disegnare un buffo anarchico colorato microcosmo di caos apparente che la rigorosa tecnica di ogni singolo movimento riesce a far sembrare gioco facile e scanzonato.
Non solo un magnifico spettacolo: anche affettuoso, colto, trascinante omaggio di artisti all’artista che ha attraversato la nostra storia con la leggerezza dei geni, l’umorismo sottile e la bonomia dei grandi; che nel suo “sciamanesimo misterioso” – così lo definisce Andrea Zanzotto – ci ricorda ancora che ogni sogno è possibile. Come quello di ricominciare da qui, dalla entusiasta, contagiosa (ops), professionale caparbietà dei danzatori, dalla tenace resistenza di questo teatro-a-metà, al 50% – forse ancor meno – dei posti.
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“Debbo fare una confessione imbarazzante”, amava dire Fellini: “Io sul circo non so niente; mi sento l’ultimo al mondo a poterne parlare con conoscenza di storia, di fatti, di notizie. E, d’altra parte, perché no? Anche se non so niente, io so tutto del circo, dei suoi ripostigli, delle luci, degli odori e anche degli aspetti della sua vita più segreta. Lo so, l’ho sempre saputo. Fin dalla prima volta si è manifestata subito una totale adesione a quel frastuono, a quelle musiche assordanti, a quelle apparizioni inquietanti, a quelle minacce di morte”.
(Claudio Monti, “Fellini, il mondo visto con gli occhi del clown”, 2011)
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