di REDAZIONE –
La vicepresidente dell’Unione Ciechi e Ipovedenti delle Marche, Stefania Terrè, si racconta e lancia un appello affinché a parlare sia una voce unica che abbracci anche il mondo della disabilità –
ANCONA – «A 26 anni non avevo ancora perso del tutto la vista. Quel giorno, all’uscita dall’ufficio, avevo preso il solito bus per andare a lezione di danza. Dal sedile dietro al mio sento arrivare un chiaro odore di alcol, il rumore di un sacchetto della spesa e una voce molto vicina che mi sussurra all’orecchio “Sei bellissima”. Il tono mi gela e il viaggio sembra non finire più. Finalmente arriva la fermata, scendo, ma il rumore del sacchetto è ancora troppo vicino: è sceso anche lui. Accelero il passo e sento che lui fa lo stesso. Il cuore batte a mille perché per strada non c’è nessuno e io non vedo abbastanza per mettermi a correre. Cerco di arrivare più in fretta che posso al cantiere che precede lo stabile della palestra: ci sono al lavoro quattro o cinque operai che ogni volta, quando passo, mi urlano “Ciao bella! Vieni qua! Vieni qua!” ridendo tra loro. Cerco sempre di ignorarli, ma questa volta penso che le loro “attenzioni” siano il male minore. E infatti è così. Arrivata al cantiere gli operai iniziano a chiamarmi e il rumore del sacchetto improvvisamente si fa distante. Col fiato corto mi infilo in palestra. Sono sollevata ma il disagio e la paura di quei momenti mi resteranno addosso per parecchio tempo. Anche quel breve viaggio tra casa e palestra diventa un problema da superare».
Stefania Terrè, vicepresidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti delle Marche, ricorda ancora con un misto di rabbia e di paura quell’episodio che rimarca quanto la disabilità, lieve o grave che sia, costituisca un ostacolo a volte insormontabile per chi cerca di difendersi da qualsiasi tipo di aggressione, sia fisica che psicologica. «Il contrasto alla violenza di genere – sottolinea Terrè – deve avere un fronte comune. E in occasione del 25 novembre di questo 2020 tanto complesso vorrei lanciare un appello a tutti gli uomini e le donne che lottano e manifestano contro questo tipo di violenza: facciamolo insieme. Uniamo le forze affinché a parlare sia una voce unica che abbracci anche il mondo della disabilità».
«I numeri nazionali della violenza domestica, in particolare quella psicologica, sulle persone con disabilità sono allarmanti – spiega Chiara Spinaci, psicologa e psicoterapeuta in formazione, dell’Irifor Marche -. A rendere il tutto ancora più grave è il fatto che nella maggior parte dei casi chi esercita violenza su una donna con disabilità è un familiare o comunque una persona tra quelle che dovrebbero prendersi cura di lei. Le ferite che ne conseguono segnano l’identità e l’immagine di sé, oltre che la fiducia negli altri. Ecco che la presenza di servizi o interventi di supporto a livello territoriale diventa di vitale importanza. Come di fondamentale importanza è che la donna vittima di volenza si rivolga a figure competenti per cercare aiuto, abbattendo ogni forma di stereotipo o tabù».
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