di PAOLO DE BERNARDIN –
Se siete tanto nostalgici dell’elettrosyntpop degli anni Ottanta, per interderci primi Depeche Mode, Frankie Goes to Hollywood, Wham, Spandau, Bronsky Beat et similia questo è il disco per voi. Con i suoni dancefloor di 30 anni fa si ripresenta Tracey Thorn, splendida e magica voce degli Everything But The Girl in un breve intrattenimento di mezz’ora speso non certo però nel modo migliore. Ed è un peccato perché suoni così vecchi sono segni di un’epoca davvero passata di cui non si sente il bisogno di un ritorno mentre il timbro vocale della Thorn ha davvero ancora tanto da dire. E’ vero che il mercato impoverito e insozzato da maree di fango hip hop cambia gli stessi connotati della musica e deforma il gusto delle nuove generazioni che vivono una canzone più come breve base musicale di un videogioco da playstation che come reale emozione suggerita da musica e parola. Tracey Thorn cerca di salvare il salvabile ma mentre il suo ex collega Ben Watt continua a mantenere una misura del suo canto che è un continuo trait-d’union con i fasti del passato e con una tradizione di scrittura ancora mirabile, la Thorn si avvale di vecchi collaboratori come Ewan Pearson, Jenny Lee Lindberg e Stella Mozgawa e ripropone un suono desueto e denso di una nostalgia immeritata. Sono davvero lontani i tempi delicati e sofisticati delle Marine Girl e quelli emozionanti degli EBTG. Diva non lo è mai stata Tracey Thorn ma nonostante ciò non ha saputo salvaguardare quell’impegno musicale profuso nella sua lunga carriera. Ovviamente non tutto è negativo in questo “Record”, a cominciare dai testi che la vedono fortemente impegnata sul fronte femminile (lei stessa ha definito le nove canzoni come pericolosi petardi femministi). In primis in un formidabile duetto con la cantante e chitarrista e in definitiva una delle soul revivors dei nostri giorni quale è Corinne Bailey Rae (“Sister”) poi con uno dei brani più belli dell’intero lavoro quale è “Smoke” che ci regala con un gran colpo di reni una delle pagine più belle di una carriera stellare. Anche in “Go” il syntpop fa capolino ma la Thorn è brava a recuperare la sua vena migliore come fa pure con la bellissima “Face” in cui tornano a splendere le sue corde vocali. Ma è quasi un tranello che la fa cadere nuovamente nei due brani che seguono, “Babies” e “Dancefloor”. “Neither fish nor flash” potrebbe gridare qualcuno. Forse è esattamente così. E a me personalmente resta un po’ l’amaro in bocca per un’occasione mancata.
STANDARD
(La storia delle canzoni)
Laura (Mercer-Raksin), 1944
“Laura è un viso sotto il chiarore della nebbia. Passi che si sentono lungo il corridoio. Una risata che risuona in una notte d’estate che non ha mai abbastanza richiamo. Si vede Laura su un treno che sta correndo nella notte. Quegli occhi che sembrano così familiari sembrano darti un bacio. Tutto questo era Laura, ma lei era solo un sogno. Ti ho dato il primo bacio. E tutto questo era Laura, ma lei era solo un sogno”
Il ritratto di Laura Hunt è sopra al camino della splendida magione vittoriana ricca di cimeli, di vasellame e di vetrine. Lei, splendida donna direttrice pubblicitaria a New York, assassinata misteriosamente, è interpretata dalla magnetica Gene Tierney nel film “Vertigine” (“Laura” in originale) uno dei noir più affascinanti della storia del cinema. La regia di Otto Preminger è basata sul giallo omonimo di Vera Caspary scritto nel 1943 (la prolifica scrittrice ottenne successivamente un altro successo con “Gardenia blu” diretto al cinema da Fritz Lang dieci anni dopo). L’intrigo dell’opera è tutto nel transfert che l’ispettore di polizia Mark McPherson, interpretato da Dana Andrews, subisce innamorandosi della vittima attraverso il quadro sopra al camino che lentamente diventa la sua ossessione. Il film avrebbe dovuto essere girato da Robert Mamoulian con la fotografia di Lucien Ballard ma il produttore Darryl F. Zanouk cambiò tutto nel giro di poche settimane affidando il film a Preminger che scelse come direttore della fotografia Joseph LaShelle che successivamente vinse l’unico Oscar tra le cinque candidature ottenute. Tra il morboso e l’onirico si inserisce lo splendido tema musicale di David Raksin (Philadelphia, 1912-Los Angeles, 2004) a cui il grande Johnny Mercer, uno dei parolieri più importanti d’America, aggiunse un breve testo. Fu un altro colpo di fortuna dal momento che, in un primo tempo, avrebbe dovuto essere “Summertime” di George Gershwin quindi “Sophisticated lady” di Duke Ellington la canzone portante del film e Raksin, figlio d’arte (suo padre era direttore d’orchestra) studiò composizione, tra gli altri, con Arnold Schoenberg e fu collaboratore di Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, il classico del 1936. “Laura” ebbe un tale clamoroso successo in America, e non solo, che durante la vita e la carriera di Raksin fu considerato il secondo brano più inciso della storia dopo “Stardust” di Hoagy Carmichael ed ebbe una grande endorsement da parte di Cole Porter che ebbe a dichiarare che quello sarebbe stato il tema che avrebbe voluto da sempre comporre. La storia morbosissima ispirò molti anni dopo anche il regista David Lynch per la sua serie “Twin Peaks” con il personaggio di Laura Palmer. Il tema di “Laura” fu un vero e proprio colpo di fulmine per jazzisti e cantanti. E fu inciso immediatamente nel giro di poche settimane. Tra i primi ci fu Woody Herman con la sua orchestra nel 1945 che ebbe vendite stratosferiche disorientando i discografici della Columbia Records. Seguirono le orchestre di Spike Jones, Duke Ellington, Johnny Johnston, Morton Gould, ma anche e voci celebri a quei tempi di Dinah Shore, Nat King Cole, Billy Eckstine, Frank Sinatra, James Melton e ancora grandi calibri del jazz come Charlie Parker, Erroll Garner, Gene Krupa, Glenn Miller, Dave Brubeck, Coleman Hawkins (magistrale altezza) con J.J. Johnson, Billy Strayhorn, Bill Evans, Gerry Mulligan, George Shearing, Charles Mingus, Sidney Bechet, Wes Montgomery, Clifford Brown, Oscar Peterson, Cal Tjader, Renée Touzet (in curiosa versione cha cha), Oscar Pettiford, Stan Kenton, Grant Grant, Ray Bryant, Johnny Mathis, Tony Bennett, Rosemary Clooney, Dick Haymes, Chet Baker (sublime interpretazione) Ella Fitzgerald con l’orchestra di Nelson Riddle, The Four Freshmen, Julie London, Rita Hayworth e Michel Legrand. Curiosamente il tema di “Laura” fu cantato spesso anche in italiano e, grazie al testo di Devilli (nome d’arte dell’editore napoletano Alberto Curci) fu interpretato nel 1946 da Aldo Donà e nel 1960 da Natalino Otto e negli anni Settanta dalla Biddu Orchestra. Anche Mina lasciò il suo segno nell’album “L’allieva” del 2005. Tra le più recenti interpretazioni vanno annoverate quelle di Carly Simon, Laura Branigan, i Supersax + L.A.Voices, Joe Lovano, Viktor Lazlo, Helen Merrill, Chris Connor, Bireli Lagrene, Claude Bolling, Earl Klugh, Patricia Barber e il grande violinista Itzahk Perlman con l’orchestra di John Williams, il celebre compositore di “Star wars”.
Copyright©2018 Il Graffio, riproduzione riservata