di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Quando ero ragazzo andavo spesso a trovare un parente agricoltore e una di quelle volte, girando per i campi, vidi un albero che non conoscevo: alto, imponente, robusto, d’una bellezza particolare. Dava l’idea della forza e al contempo d’una grazia mitologica. Sembrava, a me adolescente, che avesse la forma della quercia, ma con quel tocco in più per l’estetica, una sorta di raffinatezza della corteccia, una ramificazione espansa disposta con eleganza architettonica. E giovane com’ero, tra il pensare e il fare, mi ritrovai in un attimo su, tra i rami più robusti, a guardare da dentro il bel fogliame e quei strani frutti, baccelli dalla forma schiacciata, lunghi anche più di 15 centimetri, dal colore marrone scuro, quando sono maturi. Ne presi un paio per assaggiarli, scoprendo la loro durezza, ma anche la loro bontà che ricorda il cacao, notando la disposizione dei semi interni, allineati come nei piselli, le fave e i fagioli. Infatti la famiglia di appartenenza dell’albero, che è un sempreverde, è quella delle Fabaceae e i suoi frutti sono dei legumi.
Naturalmente tornai più volte a trovare il cugino: quella pianta era un’attrattiva non più dimenticata. Quando, nei mercati ortofrutticoli, capita di trovare le carrube, ed è una piccola impresa, non esito ad acquistarle, ma non solo per i ricordi giovanili, piuttosto perché lo meritano. Le carrube sono alimenti importanti, ricchi di fibre, vitamine, in particolare la B2, ma anche la C e la vitamina E, e minerali, tra i quali calcio, potassio, magnesio e fosforo. Hanno un contenuto proteico dell’otto percento e un notevole potere saziante. La farina delle carrube trova utilizzi nell’industria alimentare soprattutto per chi ha problemi di intolleranza al cacao o al glutine. Oltre che per alimentazione umana, sono un ottimo cibo per gli animali, in particolare i cavalli.
Aleggia un po’ di mistero sulle origini dell’albero. Visto che sopporta bene i terreni aridi e le alte temperature (ma soffre nei climi freddi), si ritiene che sia originario dell’area mediterranea, Nordafrica, Europa meridionale, Asia medio orientale e occidentale. Secondo alcune fonti, il paese d’origine è prevalentemente la Siria e dintorni, ovvero l’antica area dei Fenici che lo coltivavano già 3.000 anni fa, probabilmente anche per utilizzare il legno del fusto, essendo particolarmente resistente, oltre che per consumare le carrube a scopo alimentare. Nel periodo attuale, le principali coltivazioni europee sono in Spagna e Portogallo. Per quanto riguarda l’Italia, lo si trova principalmente in Liguria e un po’ a macchia di leopardo in tutto il centro-sud. In Puglia è considerato un albero protetto.
La pianta è a crescita molto lenta, raggiunge i sette metri e più: può arrivare anche a dieci. Ha una vita piuttosto lunga, sui 500 anni e fa impressione pensare che un carrubo (Ceratonia siliqua) vedrà intere generazioni di persone, eventi storici e cambiamenti tecnologici. In molte zone è difficile reperire le carrube nei mercatini o nei negozi di ortofrutta, nonostante la tendenza dei nutrizionisti a dare valore a tutti i legumi, ma con un po’ di buona volontà e ricerca si riesce ad acquistarli. Più facile trovarle in periodi di fiere tematiche, tra le bancarelle. Nonostante questa difficoltà, la produzione mondiale annua si aggira intorno alle 160.000 tonnellate di carrube.
C’è anche un aspetto leggendario. La carruba è conosciuta come “pane di San Giovanni”: secondo la tradizione, sembra che il santo profeta e predicatore, Giovanni il Battista, se ne nutrisse nel deserto e lungo le sponde del Giordano, durante i periodi di preghiera che erano piuttosto lunghi, e le carrube, con la loro capacità saziante e nutriente, tornavano utili. In quelle zone geografiche era un albero piuttosto comune, allora come oggi. E non è strano parlare di pane. Ci sono ricette che utilizzano le farine delle carrube per fare il pane e ancor meglio per realizzare dolci adatti anche ai celiaci, essendo senza glutine, dal delicato sapore che ricorda il cioccolato.
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