La tortora del collare, uccello mite e fedele

di AMERICO MARCONI –

Quando costruivo casa in campagna, venti anni fa, mi furono regalate una coppia di tortore del collare e una grande voliera. All’ombra di annosi lecci, mentre i muratori lavoravano, mi sedevo su un seggiolino e le osservavo. Sono uccelli amorevoli e rispettosi: mangiano insieme, dormono ala contro ala. Il maschio si distingue solo per il canto più forte: una sorta di Tuuu, tuuu, tu. Emesso quando corteggia la femmina, drizzando la coda e allungando il collo fino a toccare terra col becco. La femmina depone di solito due uova e si alterna col maschio alla cova, per tenerle sempre calde. Alla nascita dei pulcini lo stesso fanno nel nutrirli. Inghiottono granaglie che vanno nel gozzo a produrre il così detto “latte del gozzo” con cui imbeccano, sempre alternandosi, i piccoli.

Dopo varie covate aprii uno sportellino alto da cui potevano uscire e tornare dentro la voliera. Fu allora che mi resi conto di quanto una tortora fosse brava e virtuosa nel volare. Il massimo della spettacolarità la raggiunge durante il corteggiamento. Il maschio sale in alto e scende in picchiata velocissimo per planare all’ultimo momento. E ripete la sua danza e il verso nel prato. Impiegai tempo però, tra le tante tortore nate, a capire il segreto che lega ogni coppia. Erano strettamente monogame: fedeli l’uno all’altra per tutta la vita. Il maschio degli inizi, ora ha venti anni e il collo spiumato, a un certo punto perse la femmina. Arrivai che stava immobile a fissarne il corpo senza vita. Pensai che presto avrebbe ritrovato una compagna. Invece si rifiutò di accertarne un’altra. E nei periodi degli amori sembra, col suo tubare dolce e ipnotico, esprimere la nostalgia per la compagna perduta ormai da tanti anni.

Una leggenda toscana – nata dagli appunti di Leonardo da Vinci – racconta la stessa storia:«Due tortore, un maschio e una femmina, vivevano insieme da molti anni in una casetta di legno che il contadino aveva costruito per loro. Volavano, mangiavano, dormivano, covavano, facevano figli, senza lasciarsi mai; erano una coppia felice. Durante la stagione degli amori, molti maschi di passaggio avevano cercato di conquistare quella bella femmina sfidando il suo compagno, ma lei gli era rimasta sempre fedele. Anche quando, in qualche zuffa, egli aveva avuto la peggio. Quella mattina la tortora si accorse subito che qualcosa non andava: il suo sposo aveva le piume arruffate e non riusciva a reggersi sulle zampe. Sta male, pensò la tortora, e volò nel bosco in cerca di erbe medicinali. Quando tornò, la casetta di legno era vuota. Il suo compagno era morto e il contadino lo aveva già sotterrato. La tortora pianse a lungo, in silenzio. E quindi fece un voto di perpetua castità, e di non posarsi mai su un ramo verde e di non bere mai più acqua chiara».

Non mi resta che continuare a guardare, nutrire e proteggere le mie tortorelle, così le chiamiamo in dialetto. Carezzando sul collo il vecchio Rino quando tuba giorno e notte, soprattutto in primavera, nel ricordo della sposa. Mentre nascono numerosi pronipoti. Giovani che, divenuti presto adulti e baldanzosi, all’arrivo delle tortore selvatiche (più scure e dal canto più tenue) si mescolano a loro. E insieme volano via per spostarsi verso i paesi del Sud.

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